Resilienza trasformativa: dalla fragilità alla ripresa sostenibile

Il dibattito sul nuovo modello economico da perseguire è più che mai aperto ma serve una nuova teoria economica in grado di influenzare le agende politiche.
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La pandemia ci ha insegnato ad essere resilienti ma adesso occorre un ulteriore sforzo: dobbiamo cambiare.

In estrema sintesi è questo il significato della “resilienza trasformativa”, il concetto introdotto nel dibattito italiano da Enrico Giovannini, attuale Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, e che è stato affrontato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASVIS e dal Cortile dei Gentili (struttura del Pontificio consiglio della cultura) nell’incontro “Pandemia e resilienza: una riflessione sulle fragilità del nostro tempo e sulle opportunità di una ripresa sostenibile”.

La consapevolezza che il nostro mondo fosse fragile e insostenibile, al di fuori dei circuiti più coinvolti nelle questioni sociali ed ambientali, non era del tutto scontato e c’era l’illusione che il sistema potesse funzionare: l’Italia e l’Europa sembravano avviate verso un sentiero di sostenibilità, l’ONU aveva enucleato gli obiettivi di sviluppo sostenibile, con lentezza e piccoli passi questi 17 goals venivano idealmente inglobati nelle politiche economiche ed anche i sistemi produttivi si stavano adeguando. Ma la verità è che non bastava. E la pandemia ci ha costretto a guardare la realtà per quello che è. Non usano infatti mezzi termini gli ospiti del dibattito che non esitano a definire “modello da incubo” il modello economico, sociale e ambientale in pieno vigore fino all’inizio del 2020.

È diventato imperativo, nel disegnare le politiche per la ripresa, pensare a che tipo di futuro costruire, e in quest’ottica agire perché ci possa essere un “rimbalzo in avanti” e non una ricaduta nelle vecchie abitudini che hanno portato alla crisi in corso. Nota Stefano Zamagni, economista, che ad oggi non esiste una teoria della sostenibilità benché esista molta pratica in materia. Quest’assenza di teorizzazione sarebbe una delle motivazioni per cui la classe politica mondiale non ha ancora accolto a pieno titolo la sostenibilità nella propria agenda. “È un problema – spiega-, perché la disciplina economica è in grado di influenzare le mappe cognitive dei politici e perché riesce a cambiare i comportamenti”. Vale a dire che deve cambiare il paradigma: non è possibile continuare a teorizzare che non esistono limiti ai processi di crescita, che le risorse non sono un problema e che il progresso tecnico compensa eventuali carenze. Se cambiasse il paradigma, cambierebbero le agende e con esse cambierebbero i comportamenti e le strategie.

Abbiamo scoperto di essere fragili, abbiamo scoperto che le disuguaglianze pesano e abbiamo visto queste disuguaglianze da vicino”, osserva Giuliano Amato oggi presidente del Cortile dei Gentili: il lusso di una casa comoda, il disagio di vivere in pochi metri quadri; l’accesso alla fibra ottica e l’assenza di dispositivi per la didattica a distanza; la disponibilità di strutture sanitarie ma una medicina territoriale frantumata; un confinamento vissuto in famiglia e la depressione di chi è solo.

Il destino di una persona è il destino della comunità in cui si vive”, sottolinea a tal proposito Marcella Mallen, Presidente di Prioritalia e coordinatrice del gruppo di lavoro di Asvis sul Goal 16 (Pace, giustizia e Istituzioni forti) e, citando Erich Fromm, ribadisce che “la ristrutturazione del pensiero inizia con la demolizione dell’illusione della nostra onnipotenza”: il comportamento responsabile di stare a casa se malati salva gli altri dal contagio. Abbiamo scoperto la solidarietà, abbiamo dovuto rimetterla al centro delle nostre relazioni. Stare insieme, oggi, ha tutt’altro valore.

Abbiamo resistito, siamo stati resilienti, ma adesso occorre trasformarsi per non ricadere nelle vecchie abitudini.

Photo by Noah Buscher on Unsplash

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