Come era prevedibile la serie di rappresaglie tra Israele e Hamas (il braccio armato islamico che controlla Gaza) non si è interrotta al solo lunedì. Nell’articolo di ieri, abbiamo brevemente descritto quanto accaduto e il bilancio di vittime (20) e feriti (+350) causati inizialmente dal raid della polizia israeliana nella moschea di Al Aqsa a causa delle proteste palestinesi per le espulsioni dal quartiere di Sheikh Jarrah, e successivamente dagli attacchi aerei israeliani nella zona nord di Gaza. È bene sottolineare che sebbene questi ultimi attacchi siano stati giustificati dal lancio di missili palestinesi su territorio israeliano, i primi sono e sono stati letali con i loro jet da combattimento, mentre i secondi sono sia rudimentali che inefficaci rispetto al sistema di difesa antimissile israeliano (Iron Dome). Inoltre, gli attacchi aerei israeliani mirano ad obiettivi all’interno della popolosa Gaza, uccidendo numerosi civili, mentre i razzi palestinesi puntano i centri civili mancando spesso il bersaglio. Con ciò non si vuole giustificare alcun attacco armato, ma questi dati possono aiutare a comprendere le ragioni che risiedono dietro la sproporzione tra le vittime e i feriti tra le due fazioni.
Infatti dopo le violenze di lunedì sera, vi sono stati nuovi attacchi aerei da parte di entrambe le parti. Israele ha iniziato a prendere di mira gli uffici di Hamas nei condomini di Gaza City, mentre i militanti di Gaza hanno risposto al fuoco contro Tel Aviv, il centro economico di Israele. Il bilancio è stato di almeno 35 palestinesi uccisi, tra cui 10 bambini, e 203 feriti a Gaza; e di almeno 5 morti e 100 feriti tra le città di Tel Aviv, Ashkelon e Lod.
Le violenze dunque si stanno intensificando e i numeri parlano chiaro: sono i combattimenti più violenti degli ultimi sette anni. Questo dato fa temere che le recrudescenze possano non fermarsi a questi due episodi, ma che siano solo l’inizio di un nuovo conflitto che ormai ribolle da più di 60 anni. A favore di questa nefasta interpretazione vi sono soprattutto le considerazioni di rilievo che i leader delle due fazioni stanno valutando. Infatti, da un lato questi scontri stanno dando nuova linfa ad Hamas e al suo obiettivo di rivitalizzare la resistenza palestinese, ponendosi come protettore della popolazione palestinese e dei luoghi di culto oltraggiati dalla repressione israeliana. Lo si legge anche nel nome che ha dato alle operazioni militari: Spada di Gerusalemme. Dal suo anche Netanyahu potrebbe riuscire a mantenere il suo ruolo di primo ministro (dal 2009 ha questa carica) grazie alla distrazione della guerra e ai benefici che essa può portare nel raccogliere sotto un’unica coalizione tutti i partiti che lo stavano per abbandonare. Questo pensiero è stato espresso in una sua recente dichiarazione (“Accresceremo la potenza degli attacchi”) che lascia presagire il proseguio delle ostilità su scala maggiore. Come in ogni conflitto, i civili saranno i veri perdenti, mentre i leader e coloro che foraggiano le diversità e gli scontri avranno il loro tornaconto personale ed economico.