Il prezzo della libertà: gli stupri di massa delle truppe coloniali francesi in Italia

A distanza di quasi 80 anni l’Italia ancora fatica a riconoscere ufficialmente il terribile crimine di guerra che colpì duramente la popolazione civile alla fine della seconda guerra mondiale. Ancora disattesa la richiesta di istituire la giornata della memoria delle vittime delle marocchinate


Roma, 4 giugno 2021 – Sarà perché il mito della liberazione lo hanno costruito i vincitori, sarà perché –per quanto incredibile possa sembrare- la popolazione più colpita, quella ciociara, non ha serbato rancore, sarà perché non è mai il momento giusto per affrontare il tema, sta di fatto che a distanza di 77 anni in Italia si parla ancora con difficoltà delle violenze che il Corpo di Spedizione francese in Italia (Corps Expéditionnaire français en Italie – CEF-, un contingente militare dell’esercito francese, composto in maggioranza da truppe di nazionalità marocchina, algerina, tunisina e senegalese organizzato dalla Francia) perpetrò ai danni dei civili italiani.

Era il maggio del 1944 quando si svolsero gli episodi più violenti contro la popolazione ciociara del tutto inerme, provata da mesi di fame e dai numerosi bombardamenti che si susseguivano nei cieli di Montecassino. Oltre ad essere stato uno dei più grandi stupri di massa della storia, quello avvenuto in Italia al passaggio delle truppe coloniali francesi guidate dal generale Juin ha anche un triste primato: è l’unico caso documentato nella storia in cui è l’esercito liberatore ad accanirsi sulla popolazione appena liberata.

Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo ed avanzare ad ogni costo“. L’ordine di Alphonse Juin ai ‘’goums’’ per lo sfondamento della linea nemica e l’arretramento delle truppe naziste.

Si è parlato spesso di una sorta di carta bianca che il generale Juin avrebbe riconosciuto alle truppe coloniali per aver superato questa battaglia difficile, cinquanta ore di illimitata libertà garantita da impunità per tutti i crimini commessi, secondo una larga e impietosa interpretazione del ‘’diritto di preda’’:Soldati! Questa volta non è solo la libertà che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori al mondo, c’è dell’oro. Tutto sarà vostro se vincerete. Quello che vi ho detto è promesso e mantengo”. Così avrebbe scritto in un proclama il generale Juin.

Ma si tratta di un falso: le regole di ingaggio delle truppe nord africane prevedevano un vero e proprio diritto di razzia, in tutte le sue forme, ovunque passassero. Il destino delle popolazioni che avrebbero incontrato era stato deciso già prima del loro arrivo in Italia.

I settemila Goumiers sopravvissuti alla penetrazione nel territorio italiano riscossero il premio immediatamente. Devastante il loro passaggio tra furti e razzie di ogni genere, uccisioni e stupri anche mortali. Nessuna distinzione tra uomo, donna o bambini ‘’prede belliche’’ di quell’orda bestiale. Giovani e anziane donne scovate e stuprate anche nei luoghi sacri, ritenuti sicuri e non profanabili dove non furono risparmiati sacerdoti e neppure i bambini. Moltissimi trovano la morte dopo le ripetute ed efferate violenze e tanti furono uccisi nel vano tentativo di impedire gli stupri o di proteggere le proprie famiglie.

La brutalità perpetrata sulla popolazione proseguì per mesi. Le marocchinate, ricorda Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione nazionale vittime delle marocchinate, vennero utilizzate fin dallo sbarco in Sicilia, nell’estate del 1943, ma le cose peggiori vennero fatte nel Centro Italia fino alla Toscana.

Le cifre riportate non corrispondono in tutte le fonti di informazione, ma di certo si sa che il 18 giugno 1944, Papa Pio XII sollecitò il generale Charles de Gaulle a prendere delle misure di fronte a questa situazione. La giustizia cominciò a entrare in gioco, ma per mancanza di prove in molti furono rilasciati. Solo alcuni furono colti in fallo e fucilati. 28, secondo fonti francesi. Lo stesso De Gaulle era probabilmente al corrente di cosa succedeva in Ciociaria, avendo tenuto un discorso in un paese della Ciociaria proprio nei giorni delle violenze.

Le violenze iniziarono già con l’arrivo delle truppe coloniali francesi in Sicilia, i primi episodi sono avvenuti a Capizzi – spiega Ciotti- e proseguirono per tutta l’avanzata per fermarsi nei pressi di Siena. Stiamo parlando di circa due anni di vessazioni alla popolazione italiana già stremata dalla seconda guerra mondiale”.

Quelle che cita il presidente Ciotti non sono ipotesi, ma fatti ben documentati nelle denunce e nei rapporti delle forze italiane oltre che essere testimoniati da molti soldati alleati. Tra di loro anche lo scrittore britannico Norman Lewis che in “Napoli ‘44”, il romanzo tratto dal suo diario di guerra, scrive che “tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino e Morolo sono state violentate”.

Gli episodi avvennero in Calabria, in Sardegna, in Campania, nel Lazio e in Ciociaria dove si svolsero i fatti più inauditi, e poi più su lungo la via del passaggio del fronte a Viterbo e in Val d’Orcia, alle porte di Siena e in Val d’Elsa. In Toscana durissimo fu lo scontro con i partigiani dopo che, ad Abbadia San Salvatore, alcune staffette inviate per aprire la strada all’esercito liberatore furono violentate. Poi, anche a seguito delle richieste di intervento da parte del Vaticano, le truppe del CEF non furono “fermate” ma spostate in Germania, dove si ripeterono purtroppo i medesimi fatti con le medesime modalità: violenze sessuali e razzie.

In questi anni stiamo approfondendo lo studio dei documenti storici, e abbiamo rinvenuto denunce di stupri anche nel nord Italia. La CEF infatti era presente non solo con l’esercito a terra ma anche con forze navali e di aviazione. Ovunque si fermassero si ripeteva lo scempio”. Per questo motivo l’Associazione è impegnata nel progetto della mappatura dei fattiperché solo così, vedendo la distribuzione geografica, ci si rende conto di quello che è avvenuto in Italia negli ultimi due anni di guerra”. La mappatura tiene conto di oltre 30.000 documenti ufficiali censiti negli archivi di Stato e delle segnalazioni dei cittadini.

Non vogliamo in alcun modo togliere valore a chi è morto combattendo per liberare l’Italia dai nazi fascisti, ma vogliamo che venga data giustizia alle migliaia di vittime italiane, uomini donne e bambini violentati e uccisi dalle truppe coloniali francesi”. Quante? Sembra una cifra poco veritiera, ma quella che segue è quella denunciata dall’onorevole Maria Maddalena Rossi, Partito Comunista Italiano, nel corso della seduta della Camera del 7 aprile 1952 e poi confermata da numerosi storici: 60.000 violenze nella sola provincia di Frosinone da parte delle truppe “Magrebine” del generale Alphonse Juin.
Per questo l’Associazione sta portando avanti la richiesta di istituire la Giornata nazionale delle vittime delle marocchinate, per ricordare quel 18 maggio del 1944 nel quale la ferocia raggiunse il suo culmine in Ciociaria. Una richiesta ancora inascoltata.

Tra i motivi per i quali si stenta ad affrontare il tema c’è anche il fatto che il termine “marocchinate” è ritenuto offensivo e razzista. Ma si tratta di un termine storicamente accertato, è così che in tutta Italia la popolazione di allora indicava la violenza delle truppe del CEF. E teniamo a chiarire che nulla abbiamo contro il Marocco: all’epoca il Marocco neppure esisteva, era un protettorato francese. Lo stato marocchino non è stato mai un nostro nemico”.

Il romanzo di Moravia, “La ciociara” del 1957, e il film di Vittorio De Sica, del 1960, hanno portato all’attenzione mondiale quanto accaduto, ma si sfruttò la trama per far passare il messaggio che i fatti fossero avvenuti solo in Ciociaria, delimitandoli molto in termini numerici e territoriali. L’Italia non avanzò, e non ha ancora avanzato, alcuna richiesta di riparazione nei confronti della Francia.

Come associazione abbiamo anche adito al tribunale militare poiché gli omicidi non vanno mai in prescrizione e i crimini di guerra possono essere perseguiti. Non mancarono certo episodi di valore – conclude Ciotti-. Sappiamo per certo che alcuni soldati alleati difesero dei nuclei familiari, ma lo fecero per una coscienza personale non certo per gli ordini impartiti dai loro superiori”. L’ordine di tutelare la popolazione italiana, purtroppo, non fu mai dato.

Tutti sapevano e tutti lasciarono fare. Adesso però i tempi sono maturi per accogliere il dolore di tutte le vite distrutte in quei terribili giorni di liberazione e onorarne la memoria.

Foto: Le denunce presentate a Montefiascone (Viterbo) nel giugno del 1944. Archivio di Stato. Oltre alle numerose violenze carnali, ai furti e alle razzie di animali anche l’incendio della biblioteca comunale. Fonte: Associazione nazionale vittime delle marocchinate

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