“La notte scorsa alcune famiglie hanno cercato di tornare a Minsk ma la polizia bielorussia le ha prese e le ha portate al confine con la Lituania. Queste persone sono state picchiate dai militari dell’esercito bielorusso. Non possiamo più tornare a Minsk. Condividete la mia denuncia: la gente viene picchiata e spinta nelle acque gelide al confine con la Lituania”. Questo l’audio di Whatsapp ottenuto in esclusiva dall’agenzia Dire da O.Z., un profugo iracheno parte della cosiddetta ‘Carovana della speranza’, il gruppo di alcune migliaia di profughi che dall’8 novembre si è accampata sul lato bielorusso del confine con la Polonia, nel tentativo di poter entrare nel paese dell’Unione europea e presentare richiesta di asilo.
Il migrante spiega che la polizia e l’esercito bielorusso, dopo aver spinto i migranti dalla capitale Minsk a raggiungere l’area di frontiera, ora non permette loro di tornare indietro, anzi starebbe spingendo vari gruppi a dirigersi a nord, verso la Lituania – altro paese dell’Ue – anche con l’uso della forza.
“Gli agenti bielorussi picchiano i migranti e li spingono verso la frontiera con la Lituania, che però è divisa dal fiume Neman. La gente è costretta a guadarlo, fa davvero molto freddo e in quell’area non c’è nulla” riferisce sempre alla Dire P., un volontario raggiunto telefonicamente in Polonia che chiede di restare anonimo per ragioni di sicurezza. “Siamo tutti estremamente preoccupati per la sorte dei ragazzi e delle famiglie” dice ancora il volontario, che continua: “siamo in contatto con diverse famiglie, cerchiamo di fargli arrivare cibo e aiuti. A volte però ne perdiamo completamente traccia, speriamo sia solo a causa degli smartphone che si scaricano. Alcuni stanno molto male, ci raccontano che i bambini sono tutti ammalati. Cerchiamo di farli tornare a Minsk per avere cure, un pasto e poter dormire al caldo ma è complicato. Stiamo lavorando alla cieca”.
Le accuse di violenze coinvolgono anche gli agenti di polizia di Polonia e Lituania: diverse foto e video condivisi sui social network dalle organizzazioni polacche per i diritti umani, rilanciate anche dai media internazionali, denunciano da stamani l’uso da parte degli agenti polacchi di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere quei migranti che cercano di forzare la recinzione di filo spinato che li separa dalla Polonia, nel tentativo di superare i check point. Secondo il volontario polacco in contatto con la Dire, “sappiamo che ci sono anche fomentatori infiltrati bielorussi tra i migranti, che lanciano sassi o scardinano le recinzioni per provocare l’intervento degli agenti”. Tuttavia, il ripetuto uso dei lacrimogeni e degli idranti “sta causando problemi a tutti: la gente fatica a respirare, inoltre alcuni sono bagnati, tra cui anche bambini piccoli”.
Anche la polizia lituana viene accusata di “violazioni gravi” da parte degli attivisti. P. riferisce che “i migranti hanno paura, si è sparsa la voce che gli agenti lituani siano ancor più violenti di quelli polacchi”.
Secondo il governo di Varsavia e di Vilnius, a innescare la crisi è stato il governo della Bielorussia, che nelle ultime settimane avrebbe incoraggiato l’arrivo in aereo dei profughi da Libano, Siria, Iraq e Turchia per spingere l’Ue a rimuovere le sanzioni economiche. Da Minsk però negano ogni responsabilità, mentre accusano i due Paesi di aver violato gli accordi internazionali schierando l’esercito alle frontiere comuni. Ieri, il Consiglio dell’Ue, nel corso del summit dei ministri degli Esteri, ha approvato un nuovo regime di sanzioni economiche sulla Bielorussia che permetterà di colpire sia singoli individui che entità e organizzazioni ritenute coinvolte nell’arrivo dei migranti in Bielorussia. Intanto il governo dal premier Mateusz Morawiecki annuncia che dal mese prossimo inizierà la costruzione di un muro lungo tutta la frontiera: “Lavoreremo 24 ore su 24”, ma senza soldi dell’Ue.
Da «Agenzia DIRE»