Roma – “Luca era un diplomatico che ha sempre lavorato al fianco della Cooperazione italiana; a un anno dalla sua morte, ripartiamo da questo impegno, facendo rete per i bambini insieme con 14 organizzazioni di italiani in Congo”. Zakia Seddiki, moglie dell’ambasciatore Luca Attanasio, parla con l’agenzia Dire a un anno dall’agguato.
Un anniversario, quello dell’imboscata del 22 febbraio 2021, nella quale insieme con il diplomatico furono uccisi l’autista del Programma alimentare mondiale (Pam/Wfp) Mustapha Milambo e il carabiniere Vittorio Iacovacci, che segue la conclusione delle indagini preliminari della Procura di Roma e due arresti annunciati dalle autorità congolesi.
Oggi a Seddiki sta a cuore continuare un percorso, che non era quello di un volontario, sottolinea, ma di “un diplomatico che lavorava con la Cooperazione italiana perché come tutti sanno, la maggior parte degli italiani nella Repubblica democratica del Congo è composta da missionari e operatori di organizzazioni non governative”. Luca, allora, conoscendo il contesto, le difficoltà e i bisogni, “doveva essere al loro fianco per dire che l’Italia c’è”.
Quell’impegno, questo il punto che torna nell’intervista, non può venire meno. “L’anniversario del 22 febbraio deve diventare la rinascita di Luca” sottolinea Seddiki, 37 anni, originaria del Marocco, sposata con l’ambasciatore dal 2015 e madre di tre figlie. “Per questo tengo a portare avanti quello che ha fatto, anche con l’associazione Mama Sofia nata in Congo, che si sviluppa ora in una fondazione in sua memoria, pronta a intervenire ovunque ci sia bisogno”.
L’iniziativa ha più anime, che si incontrano. “Ci sono ambasciatori che conoscevano lo spirito di Luca, con anche Ettore Sequi, il segretario generale del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, e poi rappresentanti del Terzo settore e delle imprese” sottolinea Seddiki. “La sua caratteristica era proprio questa: unire le persone”.
Restano sullo sfondo inchieste e responsabilità. Secondo Seddiki, “dalle indagini della Procura di Roma è emerso che Luca, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo non sarebbero morti se il Programma alimentare mondiale avesse gestito in modo scrupoloso e adeguato la sicurezza della missione a Goma”.
Stando alla ricostruzione dei pubblici ministeri, durante lo spostamento nella provincia del Nord Kivu non sarebbero stati applicati i protocolli di protezione imposti dall’Onu stessa.
Seddiki sottolinea però che il viaggio dell’ambasciatore, ucciso a nord di Goma, in viaggio per visitare un progetto del Pam, può continuare. “C’è un progetto itinerante che si chiama ‘I bambini dell’ambasciatore'” dice. “Solo nella capitale Kinshasa è stato calcolato che in 30mila vivano in strada”.
(Fonte Agenzia DIRE – foto Max Pixel)