Roma, 4 marzo 2022 – Il Forum PA del 2021 aveva lanciato l’ennesimo allarme: nel prossimo triennio le uscite previste dalla pubblica amministrazione ammonteranno a circa 300.000 unità. Si tratta peraltro di un numero prudenziale basato su previsioni di età anagrafica; nella realtà potrebbero essere molte di più. E aggiungiamo un dato, seppure parziale perché relativo solo agli enti locali, reso noto dalla Ragioneria di Stato: tra il 2010 e il 2021 i Comuni hanno perso ben 72.552 dipendenti e – causa blocco del turn over- non sono stati sostituiti a sufficienza. Tuttavia è proprio ai Comuni che si sta chiedendo lo sforzo maggiore per impiegare correttamente le risorse del PNRR. Però, come anche evidenziato da La Repubblica, non sono solo i tecnici progettisti a mancare: manca anche il personale per istruire le procedure.
Come è possibile che l’Italia sia arrivata così in affanno di fronte ad una delle maggiori sfide economiche della storia, quella collegata all’efficiente impiego delle risorse del Piano Nazione di Ripresa e Resilienza?
La carenza di personale nella pubblica amministrazione è un tema che a partire dal 2008, anno di inizio dello stop delle assunzioni nel pubblico impiego (il tristemente noto blocco del turn over, ossia la limitazione della possibilità di sostituzione del personale in uscita) ha determinato innumerevoli danni le cui conseguenze si riversano oggi direttamente sulla capacità degli enti di realizzare la propria missione di bene comune.
In quegli anni da un lato alla PA era impedito di assumere, dall’altro – anno dopo anno- le amministrazioni perdevano ingenti quantitativi di personale per via dei pensionamenti collegati all’età anagrafica e ad alcuni scivoli (tra questi il più noto e recente è Quota 100).
Tuttavia, non sarebbe corretto affermare che per 10 anni tutto si sia fermato. Alcuni grandi concorsi quali ad esempio Ripam Puglia (2015), Ripam Abruzzo (2012) e Roma Capitale (2010) sebbene a fatica, sono stati svolti. Ma il meccanismo del blocco del turn over, collegato anche agli interventi di contenimento della spesa pubblica, ha impedito la piena e rapida assunzione dei vincitori e dunque il divario tra personale effettivamente in servizio (la dotazione organica), personale necessario (fabbisogno del personale) e personale che nel frattempo continuava ad uscire per pensionamenti (cessazioni) è cresciuto a dismisura. In questo cortocircuito tutti gli enti, nessuno escluso, si sono ritrovati in grave difficoltà.
Il legislatore è allora intervenuto consentendo la proroga delle graduatorie esistenti e più in generale rivedendo alcuni aspetti del reclutamento nella PA. In questo modo, anche se i concorsi non potevano essere svolti, gli enti hanno comunque avuto la possibilità di sfruttare le graduatorie degli idonei, di condividerle e di farle scorrere. Si è trattato di una misura a costo zero per lo Stato e di grande beneficio per gli enti che vi hanno ricorso.
Tuttavia la legge di bilancio per l’anno 2020 ha messo drasticamente fine alla proroga delle graduatorie. Le persone ancora in graduatoria, ha sostenuto Palazzo Vidoni, non avevano più le competenze in linea con le richieste di una nuova PA snella ed efficiente che si sarebbe delineata di lì a poco. Ma chiudendo le graduatorie – in pieno periodo pandemico, quando il Covid mieteva centinaia di morti al giorno e i concorsi seppur banditi non venivano celebrati- si è rinunciato a qualsiasi paracadute assunzionale. Il 1° ottobre 2020 quasi nessuna PA aveva più un bacino a cui attingere.
“La decisione è stata presa senza incrociare due banalissimi dati e cioè quello relativo alle carenze di personale della PA e quello degli idonei ancora a disposizione a cui ricorrere a saldo zero. Abbiamo sempre sostenuto che pur assumendo tutti gli idonei residui, non sarebbe stato tolto un solo posto ai nuovi vincitori di concorso e questo perché abbiamo sempre avuto chiara la grave carenza di personale. E a leggere i segnali contrastanti che giungono adesso da Montecitorio sospettiamo che la carenza sia ben peggiore della peggiore delle nostre ipotesi”.
Chi parla è Alessio Mercanti, Presidente del Comitato XXVII Ottobre, un comitato nato nel 2010 proprio all’inizio del blocco delle assunzioni con lo scopo di tutelare i vincitori e gli idonei di concorso pubblico.
“Mi domando se sia stato saggio chiudere indiscriminatamente le graduatorie residue e mi rispondo che no, non lo è stato perché è stata presa una decisione senza consapevolezza del reale stato della PA” continua Mercanti.
L’azione giudiziaria: il ricorso al TAR del Lazio
Nel 2019 il Comitato XXVII Ottobre e DirPubblica hanno presentato un ricorso al giudice amministrativo per scongiurare questa decisione. Tuttavia la prima udienza si è svolta solo il 9 febbraio 2022 e la IV sezione del Tribunale Amministrativo del Lazio ha dichiarato decaduto l’interesse a procedere.
“Nel dispositivo viene smontato l’impianto del ricorso sostenendo che oramai le graduatorie sono scadute, è passato tanto tempo. Quindi un ricorso presentato nel 2019 e pienamente nei tempi per essere trattato viene affrontato per la prima volta dal Giudice il 9 febbraio 2022 … e ci dicono che è passato troppo tempo? È assurdo” spiega Mercanti.
Certo, le graduatorie sono scadute, ma quello che il Comitato XXVII Ottobre intende perseguire è l’affermazione di un principio: le graduatorie offrono alle amministrazioni personale già selezionato e per la cui selezione sono stati già spesi soldi pubblici. Perché non utilizzarle fino all’ultimo idoneo?
Ed è esattamente in questo senso che si stanno già muovendo gli idonei del recente concorso Ripam per 2.736 funzionari amministrativi da destinare alle amministrazioni centrali. La graduatoria ha infatti iniziato a scorrere oltre i vincitori e i circa 18.000 idonei si sono organizzati per portare le loro motivazioni all’attenzione delle istituzioni nazionali.
Chi conosce il meccanismo delle graduatorie sa che questi numeri sono destinati ad assottigliarsi per la fisiologica riduzione degli idonei interessati ad essere effettivamente assunti: molti nel frattempo trovano altre occupazioni, altri rifiutano destinazioni che li esporrebbero a costi eccessivi di trasferimento e queste due motivazioni determinano uno scorrimento compreso tra il 15 e il 20%.
Fermare il circolo vizioso
Il timore è che si stia andando verso un secondo grave cortocircuito. Un decennio di blocco delle assunzioni non si risolve in pochi mesi. Non tutte le amministrazioni, seppure a fronte delle nuove procedure concorsuali, peraltro snellissime, previste dal Ministro Brunetta e confermate per tutto il 2022 dal decreto Milleproroghe, riescono a procedere in tempi rapidi e con i risultati sperati.
È il caso del Comune di Civitavecchia che poco prima di Natale ha annullato la prima prova scritta del concorso per 7 istruttori amministrativi bandito lo scorso luglio. Il motivo? Il quiz sottoposto ai candidati non conteneva né i quesiti di inglese né quelli di informatica, due materie la cui conoscenza deve essere obbligatoriamente accertata per ottenere un impiego nella PA.
Ma è anche il caso del concorso dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, il celebre bando per 2.800 tecnici PNRR gestito da Formez-Ripam, il primo grande concorso della metodologia “fast track” in base alla quale una procedura selettiva dal momento del bando al momento dell’assunzione dei vincitori può essere conclusa in 100 giorni. Nonostante le oltre 80.000 candidature raccolte a maggio 2021, ai test selettivi sono passate meno persone dei posti messi a bando. È incredibile, ma è accaduto davvero. È stata allora allargata la platea dei partecipanti e a luglio 2021 sono stati ammessi ad una seconda prova anche i candidati che erano stati esclusi (poiché non avevano ottenuto un punteggio sufficiente alla preselezione effettuata sui titoli). Ma anche stavolta alcune figure non sono state coperte ed è stata aperta una nuova procedura per la selezione delle figure mancanti e aumentare i posti messi a bando.
Una sorte simile è toccata a Roma Capitale che lo scorso luglio, nonostante le migliaia di candidati provenienti da tutta Italia, non ha potuto coprire alcune posizioni messe a bando. Tra queste gli agenti di polizia locale: a fronte di 500 posti messi a bando sono riusciti a passare il test poco più di 300 candidati. 60 domande in 60 minuti giudicate sproporzionate per difficoltà e preparazione richiesta considerando che si trattava di un concorso per diplomati.
Nel frattempo l’esodo collegato ai pensionamenti nelle pubbliche amministrazioni è proseguito ed ha riguardato tutta la PA. L’ultima finestra di Quota 100 ha inflitto il colpo finale. Mortale a giudicare dalle piante organiche pubblicate nei primi mesi del 2022 dai Comuni. Seriamente preoccupante se si considera che, tra le varie misure volte a recuperare personale, il Governo abbia previsto nel Milleproroghe il ritorno alla proroga di alcune graduatorie.
“Sia chiaro: per noi la proroga è corretta a prescindere. Ma siamo un po’ perplessi dal legislatore che mostra segnali non coerenti con quanto sostenuto negli ultimi mesi. Ci hanno fatto capire in tutti i modi, bocciando emendamenti su emendamenti, che non avrebbero più concesso proroghe e adesso apprendiamo che alcune deroghe sono state concesse. Vedere che il Parlamento una volta legifera in un modo e un’altra in un altro, a fronte di uno stesso problema, non fa che disorientare e mortificare tutti quelli che – a questo punto- sono stati solo più sfortunati ad appartenere ad un certo periodo storico nel quale la rappresentanza politica aveva una certa impostazione”.
Insomma: occorre cogliere l’attimo, tempus fugit (la durata delle graduatorie è stata ridotta da tre a due anni comprimendo così il tempo tecnico di cui un’amministrazione ha bisogno per concludere efficacemente il procedimento di assunzione) e chi si salva si salva.
“Anche la necessità di semplificare le procedure lascia perplessi. Se è vero che occorre velocizzare, però perché per diventare funzionario adesso è sufficiente un quiz mentre prima occorrevano una preselettiva, due prove scritte, un orale e la valutazione dei titoli? Al di là della pandemia, credo che il motivo sia solo uno: gli uffici sono vuoti e vanno riempiti velocemente. Sbloccare il turn over va bene, ma non è che in sei mesi risolvi il problema, le capacità assunzionali degli enti si sono erose nel tempo. Mentre ci si affretta ad assumere, i dipendenti continuano ad andare in pensione. E questo è un ennesimo corto circuito”.
Come uscire da questo caos?
“L’unica cosa da fare – proporne Mercanti- è fermarsi, ascoltare i bisogni, verificare le necessità fare un censimento e incrociare – attraverso i portali ad oggi disponibili- la domanda di personale e l’offerta di candidati vincitori e idonei ad oggi disponibili. Ci sono delle procedure che stanno producendo risultati, ma troppe altre, sebbene espletate, no. Occorre conoscere la realtà sulla quale si interviene. Ad oggi emerge un grande scollamento; la politica non riesce a porre in essere strumenti correttivi efficaci”.
Photo by Eric Prouzet on Unsplash