Roma – Dopo la fine dell’emergenza Covid-19 un decreto del governo ha spostato dal 31 marzo al 30 giugno il termine dell’utilizzo dello smart working: cosa accadrà in questi mesi? Cosa succederà per chi vorrà ancora ricorrere a tale strumento? La Dire ne ha parlato con l’avvocato giuslavorista Francesco Rotondi e giovedi 31, dalle 11 alle 12, se ne parlerà in un incontro presso la sede dell’Agenzia di stampa (corso d’Italia 38a) in diretta sul sito dell’agenzia Dire e sui social e sui canali di LabLaw.
“È una risposta apparentemente semplice e banale- ha spiegato- perché da un punto di vista meramente tecnico, cessate l’emergenza e la deroga a quello che era l’impianto originario dello smart working, o meglio del lavoro agile, si rientra a pieno regime nell’applicazione di tutto quello che prevede questo decreto che va a modificare la legge 81 del 2017. Ma questa sarebbe una risposta fintamente compiuta, perché in realtà sappiamo che il lavoro agile è uno strumento che ha una finalità molto diversa da quella che viene prospettata nella norma apparentemente semplice, perchè seppur individuato a livello normativo come una modalità di prestazione e di dare la prestazione lavorativa un po’ scollegata dal luogo di lavoro nel 2017 non ha avuto né modo né tempo di palesarsi bene nel nostro ordinamento perché poi c’è stato l’evento pandemico”.
“Evento pandemico- ha sottolineato l’avvocato Rotondi- che ha comportato la necessità di preservare la salute del lavoratore. Quale migliore strumento, dunque, per preservare salute e occupazione se non il lavoro agile, ossia l’idea di collocare a casa però la prestazione di lavoro in modo tale che non vi fossero quelle situazioni di contatto che avrebbero poi portato eventuali contagi e quant’altro?”.
“Quindi in realtà- ha precisato il legale- quello che abbiamo vissuto fino ad oggi non è un reale utilizzo di uno strumento organizzativo della prestazione ma è stato l’utilizzo di un reale strumento a salvaguardia della salute del lavoratore, che nel contempo portava con sé anche la possibilità di salvaguardare occupazione e capacità reddituale”.
“Dunque- ha poi informato- quello che ci aspettiamo a decorrere dal 30 giugno del 2022 sarà la verifica effettiva della tenuta di uno strumento organizzativo e quindi vedremo se, in effetti, lavoratori ed imprese hanno inteso e intenderanno dare pieno sfogo a questo”. L’avvocato Francesco Rotondi è anche managing partner di LabLaw, che con l’agenzia Dire il 31 marzo ha organizzato un confronto proprio su questo importante tema dello smart working dopo la fine dell’emergenza. All’evento prenderanno parte Tiziana Nisini, sottosegretaria al ministero del Lavoro, Nunzia Catalfo, già ministra del Lavoro, Anna Maria Testa, direttore delle risorse umane di Zte Italia, Stefano Bottaro, direttore delle risorse umane di Avio, e Filippo Palombini, direttore risorse umane di Tper. Tutte aziende che hanno utilizzato lo strumento dello smart working e su cui si confronteranno per capire come intendano gestire questa fase per poi arrivare a fine giugno dove dovrà essere deciso anche in base ad un confronto tra aziende e dipendenti.
“Questo scambio di idee- ha affermato Rotondi- sarà molto interessante, perché c’è stato evidentemente un utilizzo massiccio dello smart working in questo periodo e comunque, al di là della disciplina tecnico giuridica agevolata, c’è stato un utilizzo gestionale importante. Dunque, da questo punto di vista le aziende ci porteranno sicuramente una esperienza”.
Secondo l’avvocato giuslavorista sarà interessante condividere con gli ospiti le modalità per risolvere le tematiche lasciate in sospeso da questo periodo emergenziale.
“E’ evidente che dopo il tema della gestione della paura- ha proseguito- gli individui, gli imprenditori e le organizzazioni sindacali a tutti livelli avranno la volontà di mettere nero su bianco e di mettere alcuni puntini sulle prestazioni, sui diritti, sulle modalità, sulla formazione e sulla sicurezza”.
“Questo sarà molto importante- ha poi dichiarato- perché a mio avviso, da un punto di vista della gestione di questo rapporto, anche amministrativa, qualcosa da dire ci sarà”.
“Ho l’idea- ha inoltre detto- che sotto le mentite spoglie del lavoro ibrido, del lavoro smart, del lavoro agile, che mi sembrano più questioni definitorie, quasi dialettiche, in realtà si stia parlando della mera e vecchia flessibilità, termine ovviamente desueto e osteggiato per il ricordo di quello che è la flessibilità in uscita. Ma se andiamo a vedere esattamente la disciplina che dovrebbe venire fuori da questa ultima modifica non vedo altro che una determinazione flessibile del luogo e del tempo della prestazione, non ci vedo nulla di innovativo o di veramente riferibile allo smart working come organizzazione del lavoro”.
A tal proposito si inserisce appunto il confronto del prossimo 31 marzo, dalle 11 alle 12 in diretta sul sito dell’agenzia Dire e sui social e sui canali di LabLaw, per parlare di smart working, di cosa succederà dopo la fine dell’emergenza e, soprattutto, di cosa accadrà dalla fine di giugno. L’avvocato giuslavorista Francesco Rotondi ha dunque messo in evidenza i problemi e le questioni che potrebbero presentarsi nei prossimi mesi, tra cui certamente un ripensamento dello smart working e di un suo potenziamento come nuovo modello organizzativo senza tornare invece alla vecchia flessibilità.
“Credo che si debba prendere atto del fatto che il mondo è cambiato- ha tenuto a precisare- e che il mondo del lavoro è cambiato ma non solo da un punto di vista gestionale, organizzativo e normativo. È cambiato a mio avviso il rapporto che si incardinata fra lavoratore e datore di lavoro. Credo che quel famoso patto sociale in effetti sia cambiato ma è cambiato dal punto di vista delle esigenze, dal punto di vista della relazione collettiva o individuale che ormai si sta sempre più ponendo all’attenzione tra lavoratore e datore di lavoro”.
“Senza dimenticare- ha infine affermato- l’attenzione del lavoratore alla propria vita privata, tema psicosociale, sociologico ancor prima che giuridico e giuslavoristico. Ma è un tema, una via che, evidentemente, impatta sulla costruzione dello scheletro giuridico all’interno del quale vanno inerite le norme. Ripeto, al di là del ‘nomen iuris’, dobbiamo prendere atto che questo tipo di rapporto di lavoro sarà il rapporto di lavoro del futuro”, ha concluso.
Da «Agenzia DIRE»