“Arrivato all’aeroporto del Cairo, al controllo passaporti gli agenti egiziani mi hanno impedito di proseguire. Mi hanno comunicato semplicemente che la mia presenza non era gradita. Sapevamo che l’Egitto, nelle settimane precedenti all’inizio della Cop27, aveva impedito ai rappresentanti di varie organizzazioni di ottenere il visto d’ingresso per partecipare al summit Onu sul Clima di Sharm El-Sheikh, ma a me lo avevano dato e ormai ero arrivato. Sospetto che alla base del divieto di accedere nel Paese ci sia l’attenzione dedicata al caso Regeni dalla mia organizzazione”. Così riferisce all’agenzia Dire Giorgio Caracciolo, ricercatore italiano del Danish Institute against torture (Dignity), una delle molte associazioni che si occupano di monitorare la situazione dei diritti umani in Egitto.
L’ATTENZIONE AL PROCESSO REGENI (ORMAI FERMO)
L’incidente, che potrebbe aprire un nuovo caso diplomatico tra l’Italia e l’Egitto, è avvenuto tra la mezzanotte e le 2 del mattino ora locale all’aeroporto internazionale del Cairo. Con la Dire stamani Caracciolo parla invece dall’aeroporto di Parigi, dove intanto è tornato in aereo e attende la coincidenza per Copenhagen. Caracciolo continua così il suo racconto: “Tra le ong attive sulla tematica dei diritti civili e politici presenti in Egitto per la Cop27, tra cui Human Rights Watch ed Amnesty International, solo io sono stato fermato e costretto a tornare indietro col primo volo disponibile. Sospetto che le autorità egiziane abbiano avuto il timore che potessi sollevare il tema della mancata collaborazione del Cairo nel processo per la morte di Giulio Regeni, in quanto il processo è fermo a causa della mancata comunicazione da parte delle autorità egiziane dell’indirizzo di residenza dei quattro agenti dell’intelligence iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Roma”.
Oltre a ciò, continua l’esponente di Dignity, “l’ong e centro di ricerca per cui lavoro si focalizza sullo studio dei sistemi di intimidazione usati dal regime egiziano per reprimere il dissenso, che consistono principalmente nella tortura e nelle violenze”.
LA STRETTA IN VISTA DELLA COP27
Oltre al diniego del visto d’ingresso per le organizzazioni che si occupano di diritti da parte delle autorità del Cairo, oltre un migliaio di persone in Egitto secondo Amnesty sono finite agli arresti per reati politici nelle settimane precedenti alla Cop27, mentre un attivista, Alaa Abdel Fattah, entra oggi nel quinto giorno dello sciopero della sete per denunciare la sua innocenza e attirare l’attenzione del mondo sulla condotta del governo. Il summit sul clima si avvia così a figurare come il più controverso per tematiche non strettamente legate alla lotta al cambio climatico, bensì ascrivibili alle violazioni dei diritti umani di cui viene accusato il governo di Al-Sisi, non ultimi gli oltre 60mila detenuti politici.
Nuovi arresti sono invece seguiti all’annuncio di una manifestazione popolare contro le più recenti riforme economiche del governo di Abdelfattah Al-Sisi, prevista per domani, 11 novembre. La data è significativa perché richiama le proteste del 2019 che per istanze e dimensioni fece pensare a una mobilitazione simile a quella che a piazza Tahrir, nel 2011, pose fine a trent’anni di governo del presidente Hosni Mubarak. l’Associazione italo-egiziana EgyptWide ne ha già monitorati quasi 280.
Da «Agenzia DIRE»