Roma, 30 novembre 2023 – Ci sono molti modi per passare alla storia e il Granduca Pietro Leopoldo (fratello di Maria Antonietta) sarà per sempre ricordato, e amato, per aver abolito la pena di morte e la tortura nel Granducato di Toscana. È stato il primo al mondo ed era il 30 novembre 1786, giorno che la Toscana ha voluto legare alla “festa della Toscana” e che il mondo ha dedicato alla Giornata mondiale per l’abolizione della pena di morte.
In realtà Leopoldo fece molto di più promulgando il Codice Leopoldino che recepiva il pensiero che Cesare Beccaria aveva trasfuso ne Dei delitti e delle pene: Leopoldo ridusse il carcere preventivo, istituì la difesa d’ufficio per chi non poteva permettersi un avvocato, soppresse il reato di lesa maestà divenuto un facile espediente per sopprimere la libertà di pensiero.
Annoverato tra i sovrani illuminati del suo periodo, facendo un salto temporale che porta al 2023, potremmo definirlo un uomo di potere che ha preferito l’acqua al fuoco e l’amore all’odio. Sono queste le parole con cui il Sindaco di Bangui (capitale della Repubblica Centrafricana), Emile Nakambo ha descritto il suo Presidente della Repubblica che nel 2019, appena eletto, assicurò al mondo intero che avrebbe abolito la pena di morte. E così è stato. La legge approvata il 20 maggio 2022 è stata promulgata il 22 giugno 2022. Vale la pena ricordare che la Repubblica usciva dalla più grande crisi politica e sociale mai accaduta, che aveva visto migliaia di rese di conti, episodi di giustizia sommaria, violenza inaudita. Di fronte a tutto questo si è risposto con un atto di grande civiltà.
Se ne è discusso ieri a Roma, in occasione dell’evento promosso dalla Comunità di Sant’Egidio che dal 2001 conduce l’iniziativa Cities for life, cities against death penalty, una rete di 2450 città che oggi – 30 novembre- illumineranno i propri monumenti per dire basta alla pena di morte.
Roma, sala della Protomoteca – da sinistra: Gary Drinkard, Suzana Norlihan Binti Alias Mario Marazziti e Emile Nakambo.
Basta è proprio il termine che risuona per tutto l’incontro moderato da Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio, un appello e un grido che proviene dal profondo del cuore e dall’intelligenza umana.
“Viviamo in un modo sottosopra – dichiara Marazziti- in cui si è tornati ad usare la guerra per la risoluzione delle controversie internazionali. Nel 2022 sono tornate ad aumentare le esecuzioni e il triste primato spetta all’Iran, all’Arabia Saudita e all’Egitto”. In questi paesi sono state eseguite 576 condanne in Iran, 196 in Arabia Saudita e 24 in Egitto. E mancano i dati di Cina e Vietnam del Nord.
“La pena capitale è una scorciatoia militare per risolvere i problemi, è violenza di massimo livello di uno Stato che si mette contro un individuo, presuppone l’infallibilità della giustizia e non vi è rimedio” continua Marazzini.
Parole che scuotono ascoltando la testimonianza di Gary Drinkard, per 6 anni nel braccio della morte in Alabama. “Ero innocente, nel mio primo processo sono stato difeso da un avvocato poco preparato e sono stato condannato a morte. Ho visto compagni di prigione impazzire, altri suicidarsi, altri ancora affrontare la pena con coraggio. Non mi ascoltava nessuno, tutti mi dicevano che non potevano aiutarmi, che non avevano risorse, che non avevano fondi. Io ero innocente. Dopo 5 anni ho vinto l’appello e il mio caso è stato riaperto”. Il nuovo processo vede Gary difeso da un avvocato di grande fama, Bryan Stevenson, e dal team dell’associazione Equal Justice Initiatives fondata proprio da Stevenson, autore anche di “Just merci: a story of justice and redemption” da cui è stato tratto il film “Il diritto di opporsi”. Gary adesso è un uomo libero ma la sua vita ha stentato a tornare alla normalità “Ho studiato, mi sono laureato, ma il mio passato non mi permette di avere una vita lavorativa, intorno a me rimane il sospetto”.
“Cosa ti ha aiutato a non impazzire?” chiede Marazzini. “I miei amici di penna”, risponde Gary.
Si tratta di una rete che in Italia è promossa dalla stessa Sant’Egidio che mette in contatto i condannati con dei volontari (maggiori informazioni sul sito della Comunità).
Interviene anche l’avvocata malesiana Suzana Norlihan Binti Alias, da anni impegnata nel suo paese per l’eliminazione della pena di morte “Ho esultato di gioia quando la Malesia ha tolto l’obbligatorietà della pena di morte per ben 12 reati – racconta-. Dal 2018 le pene capitali sono state sospese in Malesia ma non commutate. Siamo un paese musulmano, è vero, ma quando si parla di pena capitale non esistono valutazioni religiose o di genere. Ci sono solo gli uomini. La pena di morte non diminuisce i reati, la pena di morte si basa su una giustizia vendicativa e ritorsiva. È una pena suprema contro la quale non esiste riparazione e si accanisce sulle fasce più emarginate della popolazione. Occorre parlare di comprensione, compassione e riabilitazione. Mio fratello, da venti anni detenuto, rispetto a quando ha commesso il reato è una persona diversa, tutti cambiano”.
Mario Marazzini conclude con un passaggio di testimone, invitando i giovani presenti al convegno a continuare a lottare e a i quali si rivolge con un augurio “Sarete voi a vedere i risultati del nostro lavoro”.