Dal 2019 Julian Assange, giornalista australiano, cofondatore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks, è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh in Inghilterra. È accusato di crimini quali spionaggio, diffamazione e terrorismo.
In attesa del verdetto da parte della Royal courts of justice di Londra, sono ormai cinque anni che Assange sarebbe vittima di manipolazioni, torture psicologiche, diffamazioni e intimidazioni.
Nel 2018 venne ritenuto complice, da parte degli Stati Uniti, di hacking a computer governativi; successivamente gli furono imputate altre 17 accuse in violazione dell’Espionage act del 1917 (Una vecchia legge emanata per perseguire potenziali spie durante la prima guerra mondiale, che non è mai stata utilizzata per perseguire un editore o un’emittente televisiva)
Martedì 26 febbraio scorso, a Londra si sarebbero dovute decidere le sorti del giornalista, ma non è stato pronunciato alcun verdetto.
Il cofondatore di Wikileaks non era presente in aula a causa di una condizione di salute psicofisica descritta dai suoi legali come sempre più precaria, causata da anni di detenzione preventiva in carcere.
Il suo avvocato Jennifer Robinson si è esposta riguardo alla proroga richiesta dal tribunale, dichiarando “i giudici hanno chiesto a entrambe le parti, ulteriori chiarimenti scritti da consegnare loro entro il 4 marzo; solo dopo averli esaminati annunceranno la loro decisione”, ovvero se continuare con il caso o dichiararlo chiuso.
La seconda eventualità comporterebbe la condanna del giornalista a tutte le accuse a suo carico, rischiando l’estradizione immediata negli USA, condannandolo alla reclusione a vita in una cella di isolamento. La pena massina negli Stati Uniti prevede, infatti, fino a 175 anni di prigionia per spionaggio, di cui Assange è accusato. Secondo Washington avrebbe messo a repentaglio la vita di agenti, informatori e interlocutori vari che hanno contribuito a svelare crimini di guerra attributi alle forze americane, dall’Iraq all’Afghanistan.
La riapertura del caso significherebbe, invece, far esaminare quanto successo a un nuovo giudice distrettuale. Aumenterebbero, così, le possibilità di restituire la libertà al giornalista, salvandolo dall’estradizione che, come dichiarato dalla moglie avvocato Stella Moris Assange, “significherebbe per lui una condanna a morte”.
Al contrario di quanto sostenuto dall’accusa, l’avvocato di Assange difende le pubblicazioni del giornalista, motivandole con il pubblico interesse e ritenendo infondati tutti gli altri capi d’accusa.
Numerosi i movimenti e comitati a supporto della difesa e che lottano per la libertà del giornalista, come il Comitato Assage Italia che si espone “fermiamo l’estradizione, lui che ha rivelato i crimini di guerra viene perseguitato, coloro che li hanno commessi sono a piede libero”.
La famiglia Assange non è sola in questo momento, centinaia di manifestanti sono riuniti da giorni davanti al tribunale londinese per dimostrare il proprio sostegno nei confronti del giornalista, grazie alla campagna globale promossa dalla moglie del fondatore di Wikileaks.
Anche la chiesa manifesta la sua vicinanza a Julian Assange: Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata in Vaticano sua moglie e i due figli della coppia, Gabriel e Max, il 4 luglio 2023.
Il verdetto sarà pronunciato nei giorni a seguire, probabilmente non prima del 5 marzo, ma non è stata stabilita nessuna data precisa.
Il destino dell’editore di WikiLeaks è in bilico, sostiene Rebecca Vincent, Direttrice delle campagne di Reporter Sans Frontieres (Rsf). Nessuno dovrebbe subire un simile trattamento per aver pubblicato informazioni nell’interesse pubblico.
Rimane nel potere del governo degli Stati Uniti mettere fine a questa tragedia giudiziaria ponendo fine a questa persecuzione senza fine, abbandonando il caso contro Assange che dura da 13 anni. È tempo di proteggere il giornalismo, la libertà di stampa e tutto il nostro diritto di conoscenza. È ora di liberare Assange adesso”. Salviamo Julian Assange, la Libertà, la Democrazia.