di Francesco Mazzarella
Negli ultimi decenni, le forze politiche di sinistra in Europa, un tempo protagoniste delle grandi conquiste sociali e delle lotte per i diritti, sembrano aver perso la loro capacità di incidere in modo significativo nelle politiche nazionali e continentali. Questo fenomeno non è limitato a una singola nazione, ma è ormai evidente in molti Paesi europei, dove i partiti socialdemocratici e progressisti lottano per mantenere rilevanza, spesso frammentati, divisi e con un’identità incerta. Per capire come si è arrivati a questo punto, è necessario analizzare le diverse dinamiche che hanno portato a quello che può essere definito un vero e proprio fallimento delle sinistre in Europa.
L’era del compromesso: l’abbraccio al neoliberismo
Uno dei momenti chiave nella crisi delle sinistre europee è avvenuto negli anni ‘90, con l’affermazione della cosiddetta “terza via”. Questo approccio, promosso da figure come Tony Blair in Gran Bretagna e Gerhard Schröder in Germania, cercava di coniugare i principi del mercato libero con politiche di giustizia sociale, in risposta al crescente dominio del neoliberismo a livello globale. Se da un lato questo compromesso ha portato a vittorie elettorali significative, dall’altro ha segnato l’inizio di un allontanamento ideologico dalla base elettorale storica della sinistra: la classe lavoratrice.
Le riforme del mercato del lavoro, le privatizzazioni e il ridimensionamento dello Stato sociale hanno creato un forte senso di tradimento tra gli elettori tradizionali, che si sono sentiti abbandonati da quei partiti che una volta erano stati i paladini dei loro diritti. Il risultato di queste scelte è stato un progressivo disincanto e una frammentazione del voto, con molti lavoratori che hanno voltato le spalle alla sinistra in favore di partiti populisti o, in molti casi, hanno scelto l’astensionismo.
La crisi della rappresentanza
Una delle questioni più profonde che affligge le sinistre in Europa è la perdita di connessione con la base elettorale tradizionale. La globalizzazione economica, la precarizzazione del lavoro e l’aumento delle disuguaglianze sociali hanno generato nuove sfide che i partiti di sinistra non sono riusciti a comprendere e affrontare efficacemente. Mentre la retorica del progresso economico e della giustizia sociale continuava a essere centrale nei loro discorsi, le politiche adottate dai governi di sinistra spesso riflettevano un approccio tecnocratico, più preoccupato di mantenere l’equilibrio di bilancio e la stabilità dei mercati piuttosto che di rispondere alle esigenze dei lavoratori e delle classi più deboli.
Questo distacco è stato particolarmente evidente nei Paesi del sud Europa, colpiti dalla crisi economica del 2008 e dalle successive politiche di austerità imposte dall’Unione Europea. In Grecia, il partito socialista PASOK, che aveva dominato la scena politica per decenni, è crollato sotto il peso della gestione della crisi del debito, lasciando spazio alla nascita di Syriza, un movimento di sinistra radicale. Anche in Spagna, il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) ha subito una forte erosione del consenso, con la crescita di Podemos e delle forze regionaliste. La tendenza è stata simile in Italia, dove il Partito Democratico, nato dalla fusione di forze socialdemocratiche e post-comuniste, ha perso terreno di fronte all’ascesa del Movimento 5 Stelle e della Lega.
L’avanzata della destra populista
Mentre la sinistra arrancava, incapace di offrire risposte convincenti ai problemi economici e sociali, la destra populista ha saputo cogliere l’occasione. In molti Paesi europei, movimenti nazionalisti e xenofobi hanno saputo capitalizzare il malcontento diffuso tra i lavoratori, sfruttando la paura per l’immigrazione e la perdita di sovranità nazionale. Partiti come il Rassemblement National in Francia, il Partito della Libertà in Austria, il PiS in Polonia e il Fidesz di Viktor Orbán in Ungheria hanno intercettato il voto della classe operaia, proponendosi come difensori dei “veri” interessi del popolo contro le élite globaliste.
Questa svolta ha messo in luce una delle principali debolezze della sinistra europea: l’incapacità di offrire una visione alternativa alla globalizzazione neoliberista che fosse altrettanto convincente quanto quella proposta dalle destre populiste. L’enfasi sulla diversità, sull’inclusione e sui diritti civili, sebbene importanti, non è stata sufficiente a controbilanciare le preoccupazioni materiali di una larga fetta della popolazione, che si è sentita trascurata.
L’erosione del consenso nei Paesi nordici
Anche nei Paesi nordici, un tempo bastioni della socialdemocrazia, la sinistra ha subito un declino. In Svezia, la Danimarca e la Finlandia, i partiti socialdemocratici sono stati costretti a fare i conti con una crescente concorrenza da parte di formazioni populiste di destra e movimenti ambientalisti. Le storiche politiche di welfare universale, un tempo fiore all’occhiello dei governi di sinistra, sono state messe in discussione dalla crescente pressione migratoria e dalla competizione internazionale. L’adozione di politiche più restrittive sull’immigrazione da parte di alcuni governi socialdemocratici ha contribuito a frammentare ulteriormente il consenso, alienando parte dell’elettorato progressista.
In Danimarca, per esempio, il Partito Socialdemocratico ha adottato un approccio più rigido sull’immigrazione, cercando di contrastare l’avanzata della destra populista. Questo cambiamento di rotta ha suscitato critiche all’interno della sinistra, ma ha anche permesso al partito di recuperare parte del consenso perso, a scapito però di un indebolimento della coesione ideologica.
La sfida ambientale e la concorrenza dei Verdi
Un altro elemento che ha contribuito al declino delle sinistre tradizionali è l’ascesa dei movimenti ambientalisti. I Verdi, soprattutto in Germania, sono diventati una forza politica centrale, in grado di attrarre elettori giovani, urbani e altamente istruiti, un tempo appannaggio della sinistra. L’incapacità dei partiti socialdemocratici di affrontare con decisione la crisi climatica, o di proporre soluzioni radicali ma praticabili, ha aperto la strada all’ascesa dei partiti ecologisti, che ora occupano una parte rilevante del panorama politico progressista.
La necessità di un rinnovamento
Di fronte a queste sfide, la sinistra europea si trova a un bivio. Per risorgere e ritrovare la propria centralità politica, è necessario un profondo rinnovamento, che non si limiti a un restyling superficiale delle politiche, ma che parta da una riflessione seria e approfondita sulle cause del proprio fallimento. La sinistra deve riconnettersi con la classe lavoratrice, affrontare in modo efficace le sfide della globalizzazione e della digitalizzazione, e proporre una visione chiara e radicale per affrontare le disuguaglianze sociali e la crisi climatica.
Inoltre, dovrà risolvere le proprie fratture interne, superando la dicotomia tra una sinistra più radicale e una più moderata, trovando un nuovo equilibrio che possa unire diverse sensibilità senza perdere di vista i propri principi fondanti. La posta in gioco non è solo la sopravvivenza dei partiti socialisti e progressisti, ma la capacità di offrire un’alternativa credibile a un continente sempre più dominato dalle destre populiste e dai movimenti autoritari.
In sintesi, il futuro delle sinistre europee dipenderà dalla loro capacità di rispondere alle sfide del XXI secolo, senza tradire le proprie radici, ma con la consapevolezza che il mondo è cambiato e con esso le priorità e le aspettative dei cittadini.