Come un pestilenza

Gli ulivi pugliesi non si potevano toccare; nemmeno i proprietari potevano sradicarli e trapiantarli altrove. Ora rischiano di essere massacrati tutti.

I Salentini, abitanti una terra d’ulivi e di pace, non scendono in piazza facilmente, eppure il pomeriggio della Domenica delle Palme, rispondendo all’appello lanciato da intellettuali, artisti, agronomi, contadini, ambientalisti e gente comune, sono arrivati in migliaia a Lecce, in Piazza Sant’Oronzo, a lanciare un grido muto contro lo sterminio degli ulivi, l’imminente eradicazione in una vasta area tra le province di Brindisi e Lecce, prevista dal piano del commissario straordinario per l’emergenza, Giuseppe Silletti, che risponde ad una direttiva Ue per bloccare la diffusione della Xylella Fastidiosa, un batterio finora sconosciuto in Puglia, il quale penetra nella pianta, la uccide rapidamente e si propaga attraverso un insetto-vettore, la cicala sputacchina.


    E i Salentini sono fatalisti, così sono passati già quattro anni dalle prime avvisaglie nella parte sud del Salento che i giganti della loro terra stavano morendo. Dopo questo lungo silenzio, spiegabile con una non immotivata convinzione che l’olivo è un grande vecchio che sopporta tutto, generoso e poco esigente di cure, ecco arrivata da pochi mesi la grande paura, il bubbone da combattere con la decimazione di migliaia di esemplari secolari, che non avrebbe soltanto notevoli implicazioni economiche per la produzione dell’olio di qualità, (la Francia ha appena bloccato l’importazione dalla Puglia di vegetali sensibili al batterio), ma soprattutto, alterando il paesaggio, colpirebbe il sentimento più profondo dellidentità di queste popolazioni.


    Allora, come sempre di fronte alla peste, ognuno si aggrappa a ciò che può e cè chi individua nelle multinazionali gli untori, chi si scaglia contro i pesticidi e suggerisce di tornare a pratiche agricole naturali tramandate dai nostri avi, mentre la Procura di Lecce apre un fascicolo a carico di ignoti per dipanare l’intricata matassa di ipotesi di complotti e storie di agromafie, diffuse da narrazioni orali dal tono epico. Non è mancata neppure la Via Crucis per gli Ulivi, organizzata dalle cinque diocesi della Metropolia di Lecce. Seguendo unantichissima usanza dei pellegrini che andavano verso Finibusterrae, lunedì 30 marzo, alle 19.30, partendo da Gagliano del Capo per giungere fino alla Basilica di Santa Maria di Leuca, per la prima volta con la partecipazione unanime ad un evento non liturgico, dei vescovi delle diocesi Ugento-Santa Maria di Leuca, Nardó-Gallipoli e delle Arcidiocesi di Lecce, Otranto e Brindisi-Ostuni, una fiaccolata ha illuminato il percorso, segnato da sette soste per altrettanti momenti di riflessione e preghiera, come fosse la preghiera di Cristo nell’orto dei Getsemani, un giardino poco fuori Gerusalemme, dove c’era un frantoio per estrarre l’olio, questo è il significato del nome.


    Al momento, di certo c’è che sono state bloccate due operazioni di eradicazione, grazie al ricorso presentato al Tar di Lecce dai relativi proprietari. Di certo cè che i Salentini non si rassegnano, e non si fidano, come la poetessa salentina Pina Petracca.

Non mi fido


Non mi fido 
di chi 
non ha mai toccato 
la mia terra
con le mani 
sposate 
alla tramontana
delle stagioni,
di chi 
non ha piegato
la schiena 
a ripulire i piedi
del patriarca 
dalle erbacce ,
di chi 
mai ha baciato
ad una ad una
le perle nere
tradite dalle pietre
e le ha nascoste 
e difese 
nella sporta.
Non mi fido.
Non mi fido 
di facce sbarbate
senza lodore 
di carne unta dolio
dei frantoi,
di chi 
non ha gustato 
laroma dellorigano
sul pane secco
bagnato
alla rugiada
del mattino,
di chi 
mai ha contato
le gocce dolio
a levigare 
i rantoli amari 
del digiuno.

Non mi fido
del vento
oltreconfine 
che mi porta 
microclismi di veleno
e poi si fa ragione.
E confusione.
Ed eradicazione.
E manipolazione .
Non mi fido
di chi 
non sanguina 
abbracciando 
un ulivo 
stretto al cuore 
fino a farsi male . 


 Pina Petracca 

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