Svolta green per le aziende UE. Sostenibilità e informazioni finanziare saranno sullo stesso piano.

È in arrivo la nuova direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità. Proposta dalla Commissione e approvata dal Parlamento Europeo, è ora alla firma del Consiglio che la adotterà il 28 novembre. Ne parliamo con Roberto Orsi, Direttore dell’Osservatorio Socialis: "Finalmente abbiamo capito che anche per le aziende non può esistere solo profitto, e soprattutto mai fine a sé stesso".

Roma, 22 novembre 2022 – Sono passati pochi anni dalla prima direttiva comunitaria sulla comunicazione delle informazioni non finanziarie – la n. 95 del 2014 recepita in Italia con il decreto legislativo 254/2016- e le Istituzioni Europee, anche nel quadro del Green Deal, sono tornate sull’argomento. E lo fanno agendo su due aspetti: l’obbligatorietà e l’estensione dei destinatari della norma.


Cosa sono le informazioni non finanziarie
Si tratta, semplificando, di quelle informazioni che attengono gli aspetti non finanziari delle aziende come ad esempio il rispetto dei diritti umani, l’impatto ambientale, politiche a favore del personale e contrasto alla corruzione. Un’azienda, infatti, non è rappresentabile solo attraverso il fatturato o i parametri meramente economici. Un’azienda, volente o nolente, vive in un territorio, interagisce con delle persone, genera impatti ambientali. Perché, allora, non renderli dei punti di forza?

Approfondiamo l’argomento con Roberto Orsi, Direttore dell’Osservatorio Socialis, il cantiere di promozione, centro studi e hub formativo dedicato a responsabilità sociale d’impresa, ambiente, cultura, solidarietà e sviluppo sostenibile.

Direttore Orsi, perché è importante comunicare le informazioni non finanziarie?
Al di là dell’obbligatorietà attualmente vigente, oggi ancora circoscritta ad un ristretto numero di imprese, quello che si è reso velocemente imprescindibile per chi vuole rimanere sul mercato in maniera sostenibile, cioè durevole, è lavorare su un proprio percorso virtuoso che porti tutte le componenti dell’impresa a condividere valori e comportamenti. Le radici della responsabilità sociale nelle organizzazioni sono in via di veloce rafforzamento, ma è indispensabile alimentarle di continuo, metterle a sistema e organizzare il terreno per farle crescere ancora.

Roberto Orsi, Direttore dell’Osservatorio Socialis, promotore del Premio Socialis per le migliori tesi di laurea sulla responsabilità sociale di impresa e la sostenibilità (20 edizioni, 1100 lavori in archivio), e del Rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia (10 edizioni dal 2003).

I limiti della precedente normativa
Ben chiaro fin dall’inizio ai più esperti, la Direttiva 95 imitava la platea di applicazione e non prevedeva meccanismi premianti che ne incentivassero l’adozione.
La Direttiva in questione si riferiva alle società quotate in borsa di interesse pubblico, con più di 500 dipendenti, con uno stato patrimoniale di 20 milioni di euro e un totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni di 40 milioni di euro). In Italia circa 150 aziende. Troppo poche per determinare un vero impatto.

Cosa cambia adesso?
Al di là del fatto che vanno considerate in qualche modo integrate nella normativa vigente anche le aziende fornitrici delle aziende quotate, anch’esse, anche se indirettamente, coinvolte, bisogna dire che al recepimento della norma saranno chiamate 49.000 aziende tra tutte quelle operanti nell’Unione Europea. Un grande cambio di passo, che dovrà sancire la validità di comportamenti socialmente responsabili quali volano di maggiore credibilità e quindi di maggior sviluppo. E poi ci sono già ora le imprese che redigono e pubblicano volontariamente il Bilancio Sociale, il Bilancio di Sostenibilità o il cosiddetto Report integrato secondo i criteri definiti dal GRI (Global Reporting Initiative): sono le imprese che si troveranno pronte alla rendicontazione e alla revisione. E secondo i dati del “10° Rapporto sull’impegno sociale, economico e ambientale delle aziende in Italia”, presentati lo scorso giugno in Sapienza dal nostro Osservatorio, 7 aziende su 10 a vario titolo sono considerate un passo avanti.

A chi si applica l’obbligo
A partire dal 2024 le aziende multinazionali con più di 500 dipendenti saranno obbligate a divulgare regolarmente informazioni sul loro impatto ambientale, sui diritti umani, sugli standard sociali e sull’etica del lavoro sulla base di standard comuni e definiti a livello comunitario. Dal 2025 sarà poi la volta delle aziende con oltre 250 dipendenti e/o un fatturato di 40 milioni di euro.
Infine, dal 2026, l’obbligo riguarderà anche le Piccole e Medie Imprese quotate.

Secondo lei questa direttiva è di interesse anche per i cittadini? Mi spiego: la sostenibilità è un aspetto in grado di orientare le scelte di un consumatore?
Voglio anche in questo caso citare i dati del 10° Rapporto CSR di Osservatorio Socialis: secondo il campione di aziende intervistate un dato costante fin dal 2020, confermato nel 2022, è che tra i consumatori l’attenzione a scegliere prodotti di aziende e marche che dichiarano e raccontano attività di responsabilità sociale e sostenibilità sta aumentando. Ed è questa la ragione per cui i percorsi verso la sostenibilità da parte delle imprese sono sempre più attenti, governati da uffici preposti e dipendenti esperti per formare il personale, mappare le iniziative, coinvolgere tutta la struttura, condividere con il top management, fare e far sapere, pianificare a medio e lungo termine: le regole auree per “far crescere le buone azioni”.

L’intenzione delle Istituzioni comunitarie è di mettere fine, attraverso la nuova direttiva, al fenomeno del greenwashing. Secondo lei è una finalità realizzabile?
Non è facile fare greenwashing senza subirne l’effetto boomerang! Danni di reputazione e di immagine sono sempre dietro l’angolo, sono complessi da recuperare e possono portare al crollo delle azioni. E non è mai una buona idea quella di usare la parola sostenibilità senza aver prima capito che bisogna dimostrare non solo con le parole ma con i fatti che lo sviluppo sostenibile è legato strettamente alla salvaguardia dell’ambiente, alla crescita delle persone, alla capacità di governare l’impresa in maniera etica, pensando al profitto, ma non solo. Dico sempre alle aziende e nelle aule universitarie: facciamo un check up periodico alla nostra organizzazione, ascoltiamo periodicamente noi stessi e il mercato, confrontiamo i dati raccolti, per capire come procedere più spediti.

Secondo lei come reagiranno le aziende Italiane?
Ci sono tutte le premesse per accogliere la norma come una guida, un faro da seguire per uno sviluppo ancora più sostenibile. Siamo abituati a ragionare nell’ottica dei 17 Goal delle Nazioni Unite e forse finalmente abbiamo capito che anche per le aziende non può esistere solo profitto, e soprattutto mai fine a sé stesso.

Foto di copertina by Johannes Plenio on Unsplash

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