Leggiamo in un (informato?) articolo del Sole24Ore che siamo agli sgoccioli, poiché è atteso in tempi brevi il DPCM con cui si darà attuazione all’avvio del credito d’imposta al 75% (90% se a investire sono piccole e medie imprese, microimprese e startup innovative) per le imprese e i lavoratori autonomi che investono in campagne pubblicitarie su quotidiani e periodici, emittenti TV e radio locali.
Si tratta di una misura giusta e opportuna per rilanciare gli investimenti pubblicitari, favorendo l’intero settore editoriale.
Perché di questo si tratta: di un intervento di sistema pensato per porre rimedio alla crisi generale.
Solo che il Sole24Ore, dopo una analisi ben informata delle tematiche del decreto, ci dice perentoriamente che dal provvedimento saranno esclusi gli investimenti sul web. Perentoriamente, senza neanche una formula dubitativa.
Questo cosa vuol dire? Che le aziende che investono sulle testate online non potranno beneficiare di alcun contributo dello Stato.
A prescindere da quello che risulta a noi, che non riteniamo mai di essere così perentori, la domanda, per così dire, nasce spontanea: perché il Governo dovrebbe escludere dai benefici le testate online?
La Legge 198/2016, a proposito del contributo sulla pubblicità incrementale, parla di “stampa quotidiana e periodica” ed è ormai pacifico che le testate online, registrate in Tribunale, iscritte al ROC, con un direttore responsabile (perché di queste testate stiamo parlando) siano completamente parificate dalla legge e dalla giurisprudenza delle Sez. Unite della Corte di Cassazione alle testate cartacee.
Di più. La pubblicità sulle testate online costa infinitamente meno che sulle testate cartacee e quindi il contributo comporterebbe un esborso minimo da parte dello Stato.
E ancora. Il settore dei giornali online sta cercando di crescere pur non avendo mai beneficiato di uno straccio di contributo anche minimo di qualsivoglia Ente pubblico.
In pratica, non esistono ragioni giuridiche, o di contabilità dello Stato, o politiche, per escludere le testate online.
Certo, potrebbe trattarsi di una scelta di Governo. E il Governo può fare le sue scelte come i settori possono valutarle.
Sembra strano, però, che arrivi una simile dichiarazione di ostilità nei confronti di un comparto povero dal punto di vista economico, ma estremamente seguito dall’opinione pubblica e con crescente credibilità, al contrario di altre tipologie di giornali.
Tutto nel presupposto che ad aver bisogno siano sempre e solo i grandi gruppi editoriali e i “soliti noti”. Ma questa è la posizione (apparentemente informata) del Sole24Ore e della logica che lo ispira.
Crediamo e speriamo che non sia quella del Governo.