Il dramma dell’attentato a Togliatti

Il 14 luglio 1948 si vissero tumultuosi momenti anche a Messina

Immagine: Il giornalista Carmelo Garofalo scomparso nel 2012.

4 gennaio 2018:Le componenti di redazione de Paese Italia press ricordano il loro Maestro nel giorno del suo compleanno. 

Il 14 luglio 1948, un giovane siciliano, Pallante, attentò alla vita di Palmiro Togliatti, il leader del Partito Comunista Italiano.

Fu un momento drammatico per l’Italia. Lo stesso Togliatti, invitò tutti alla calma, ma i compagni vollero elevare la loro protesta nella quale però ebbero il sopravvento i più facinorosi e, dappertutto, esplose una grave ondata di disordini non sempre adeguatamente fronteggiata dalle forze dell’ordine che, tra l’altro, per prudenza, più che per viltà, vennero fatte ritirare dalla piazza.

Un momento in cui tutta l’Italia cadde praticamente in mano ai rivoltosi che sventolavano bandiere rosse.

Venne proclamato lo sciopero generale, e venne impedita perfino la pubblicazione dei giornali. Anche le strade di Messina, per tutta la giornata del 14 luglio, dopo la notizia dell’attentato, furono percorse da cortei di dimostranti che scorrazzavano tumultuosamente da un punto all’altro della città, al canto di <<Bandiera rossa>> e minacciosamente urlanti. In una Italia, paralizzata dallo sciopero generale, soltanto una voce libera raggiunse i cittadini per dare notizia di una situazione drammatica.

Fu l’<<Eco del Mattino>>, che ebbe il suo momento di gloria, quando apparve in edicola, unico giornale in tutta Italia, all’alba del 15 luglio. L’<<Eco del Mattino>> diretto allora da Pietro Longo, un giornalista di prestigio che aveva diretto anche la vecchia <<Gazzetta>>, prima di Ivanoe Fossani, negli anni ’30, era nato da un’iniziativa di Nino Malatino e di Biagio Starvaggi, già redattori della vecchia <<Gazzetta>>, da me convinti a dare alla città, oltre al <<Notiziario>>, il foglio autorizzato dalle forze militari anglo-americane, un quotidiano che potesse dirsi giornale.

In redazione vi erano Aldo Sgroi, Marcello Danzè, Gigi Masciari, Giuseppe Mugnone, combattente di Bir El Gobi, superstite di un’infausta battaglia in terra d’Egitto, e Carmelo Ardizzone, Gianni Orlando, Francesco Laviosa (il cronista “portuale”), Angelo Caola, Lino Amendolia e Serafino Ernesto Di Pietro.

La sera del 14 luglio, in redazione, eravamo soltanto in tre, Aldo Sgroi, Lino Amendolia e chi scrive. In tipografia, alla linotype, Pandolfo, ed al “marmo”, per l’impaginazione, Giuseppe Salemi. Avevamo disatteso le telefonate intimidatorie e l’avvertimento di un giovanissimo attivista, il quale, ignorando le mie funzioni, mi aveva confidato che in serata i compagni avrebbero assaltato la sede del giornale, con bombe a mano e nodosi randelli, per impedirne la pubblicazione.

Eravamo tutti presi dal lavoro quando sentimmo i canti di <<Bandiera rossa>> e le grida minacciose che partivano da un corteo di migliaia di dimostranti che vennero bloccati dalle forze dell’ordine, da noi precedentemente allertate, sulla via Cavour, all’angolo di via San Filippo dei Bianchi.

Mancava qualche minuto alla mezzanotte. I dimostranti incalzavano, sembrava non fosse più possibile contenerli, e dalle forze di polizia ci venne intimato di sospendere il lavoro, per evitare il peggio. Non cedemmo.

Alla testa del corteo vi erano due esponenti del Partito Comunista, Tuccari e Mondello, ai quali mi univa una solida comunanza, prima della guerra, nelle file del gruppo universitario fascista. Salii su una sedia e parlai ai “compagni”, per spiegare loro il significato di democrazia e di libertà di lavoro. Fui fortunato, riuscii a convincerli, e furono gli stessi Tuccari e Mondello a dirottare i compagni verso il palazzo del governo, davanti il quale sostarono per tutta la notte urlando e cantando.

Fu una notte a rischio, ma per la pattuglia giornalistica e tipografica, dell’<<Eco del Mattino>>, fu una notte di gloria. L’<<eco del Mattino>> fu il solo giornale ad essere pubblicato in tutta Italia. Continuavano i disordini e sembrava che lo stato dovesse arrendersi all’impetuosa protesta dei comunisti.

Improvvisamente dalle radio portatili si diffuse una gioiosa notizia, Gino Bartali, l’asso del ciclismo italiano, aveva vinto il Tour de France e, quasi per incanto, alle bandiere rosse si sostituirono le bandiere tricolori, il vessillo d’Italia, e la <<rivoluzione >>annegò nell’euforia dell’assordante tifoseria bartaliana. E lo Stato si riappropriò dello Stato.

Stampa Articolo Stampa Articolo