Immagine: Mattarella ministro della P.I. al centenario del Liceo classico “Archita” di Taranto (1989)
Ho conosciuto Sergio Mattarella a Chianciano. L’ho incontrato la prima volta nell’ottobre del 1989 nel corso di uno dei diversi convegni periodici della sinistra Dc che per tradizione si riuniva in quel luogo, e a cui Mattarella partecipava sempre. Lavoravo alla Rai di Roma. Avevo accompagnato Nuccio Fava, direttore del Tg1. Anche lui da ex fucino, esponente di questa corrente politica sin dall’Unuri del suo giovanile impegno universitario a Messina. Appena un mese dopo di quell’ottobre sarebbe caduto il Muro di Berlino, le cui conseguenze sulle politiche nazionali e sovranazionali, e sugli equilibri mondiali sono note a tutti.
E appena un anno dopo, luglio 1990, Mattarella con un gesto eclatante per la storia politica italiana, si dimette da Ministro della Pubblica Istruzione, assieme ad altri cinque ministri, per non votare la fiducia alla Legge Mammì voluta da Andreotti per difendere il duopolio televisivo Rai-Fininvest. Dopo le relazioni del mattino di Leopoldo Elia e Guido Bodrato, Mattarella nella pausa pranzo si sedette per caso con noi assieme al suo autista, per mangiare un boccone. C’erano dei posti liberi. Parco, ricordo, nel mangiare, e semplice nel vestire che era difficile identificarlo come Ministro della Repubblica italiana. E ricordo ancora meglio che ci intrattenne sulle due relazioni, soprattutto su quella di Elia che parlò di crisi economica e sociale, con un tono di voce così basso che dovevamo stare tutti zitti se volevamo sentire e capire quello che diceva.
Va detto che Chianciano in quegli anni, più che una corrente di partito e di tessere, era una corrente di idee. Un appuntamento di dialogo col mondo, da parte di un avanzato cattolicesimo politico fatto da intellettuali dediti alla politica. Nascevano idee e proposte. Si individuavano percorsi legislativi che, ormai dopo Moro in fase avanzata con la sua “strategia del confronto e dell’attenzione”, venivano stimati dallo stesso Pci. E, naturalmente, si praticava anche lotta politica interna, sempre appoggiata però a contenuti.
La cultura politica che aveva alle spalle quella corrente era innanzitutto un “agire politicamente” orientato alle categorie di moralità e libertà suggerite dal solidarismo cristiano. Il filo rosso culturale che infatti univa questi laici cristiani era il Magistero sociale della Chiesa da un lato e, recuperando Rosmini e Sturzo, pensatori del calibro di Maritain e Mounier dall’altro. Sullo sfondo il Codice sociale di Malines e quello di Camaldoli. Con figure di riferimento alte come i “preti scomodi” Mazzolari, Milani, De Luca. E poi indubbiamente Dossetti, Lazzati, La Pira. Gruppi come la “Comunità del porcellino”, “Cronache sociali”, la corrente della “Base”, quello degli “amici di Moro”, l’area Zac, ecc. Mentre i fari del loro laico agire politico all’interno di un solido europeismo, rimanevano il Concilio Vaticano II e la Costituzione italiana.
Per i tanti che nei giorni scorsi hanno scritto che con Mattarella rinasceva la Dc, osservo che la Dc dove è cresciuto e si è formato Mattarella non era la Dc, la quale si deve comunque lasciare ad un serio giudizio della storiografia politica sul secondo dopoguerra italiano, ma una “parte” della Dc. Una componente restia a conservare l’esistente, riformista ante litteram. Con il bisogno di interpretare “i segni dei tempi” e il cambiamento. Una corrente che non amava la ribalta della Tv e con i suoi rappresentanti abituati a parlare poco ed a leggere e studiare molto, come suggeriva Zaccagnini. Da essa sono passati non solo “…intellettuali della Magna Grecia” a partire dal più illustre rappresentante meridionale Aldo Moro, per finire a De Mita, Misasi, Galloni, Orlando, ecc.
Ma anche fior di politici di un ampio arco settentrionale che andava da Torino a Forlì: Bodrato, Martinazzoli, Zaccagnini, Fracanzani, Castagnetti, Andreatta, Bindi, Ruffilli, Goria ecc. In questa area si sono riconosciuti da “esterni” anche Scoppola, Gorrieri, Ardigò, Giuntella, con la loro Lega Democratica che ebbi il piacere di conoscere e frequentare. E, dietro le quinte e una volta abbandonato il geddismo, trovavamo i Bachelet, i Monticone, i Cananzi. Tutte persone con la schiena dritta. In comunione con la Chiesa ma autonomi dalla Chiesa. Credenti che davano a Cesare quanto era di Cesare.
L’elezione di Mattarella a Presidente della Repubblica conferma ora un paradosso dell’antropologia politica dei nostri giorni che a rigore non andrebbe in favore di Renzi. Infatti Renzi ha proposto e voluto questo esponente della vecchia sinistra Dc, difendendolo con lungimirante intelligenza politica correndo anche qualche rischio. Ma ha però dimostrato nello stesso tempo che più vogliamo “rottamare” le figure che hanno interpretato e costruito il passato, come lui ha sostenuto sin dall’inizio, più esse si ripresentano con forza alla nostra coscienza per aiutarci a progettare futuro.
Mentre Napolitano incarnava da posizioni miglioriste gli epigoni di una cultura politica travagliata ma di tutto rispetto, quella comunista, che ci lascia comunque in eredità la sua scelta di campo sociale, Mattarella rappresenta ora da posizione riformiste quella della sinistra cattolico-democratica della Dc. Anch’essa dal punto di vista politico consegnata alla storia, ma che sotto l’aspetto culturale ci lascia in eredità il solidarismo cristiano e l’impegno politico a ricercare il bene comune. Un paradosso che si amplifica, quando si pensa che accanto a quella liberale, sono culture e valori portanti della nostra attuale Costituzione.
Non c’è dubbio alcuno che è dunque il pensiero cattolico democratico che ne esce con la sua nomina rafforzato e ri-legittimato. Sono infatti cero che consegnata alla storia l’unità politica dei cattolici, rimane sicuramente una laica cultura umanistica ancora capace di dare risposte alle sfide della globalizzazione, e dei rivolgimenti sociali che ci attendono. Valori, principi e comportamenti che bisogna alimentare. Senza farli morire.
A noi ci resta una lezione di incredibile attualità. Questa generazione di laici cristiani, è passata attraverso notevoli processi formativi grazie ad un associazionismo che serviva – molto più delle primarie e molto meglio dei 140 caratteri di Twitter e delle reti di social media – a formare, selezionare e lanciare giovani nell’impegno politico. La Fuci in testa e l’Azione Cattolica subito dopo, ma anche le Acli, gli Scout, il Meic, la Cisl, le Scuole diocesane di formazione, le decine di associazioni locali, sono state un vivaio per fare crescere personale politico. Una galassia oggi sin troppo silenziosa. Soprattutto perché ha abbandonato il prezioso prepolitico delle comunità formative e degli incontri faccia-a-faccia. Della denuncia franca e rispettosa delle cose che non vanno, di cui ora è proprio Papa Francesco che si è fatto carico in prima persona.