Finalmente un bel dibattito in mezzo a tanto chiacchiericcio sui mass media e a discorsi prevalentemente propagandistici e confusi collegati a obbiettivi politici di breve e lungo periodo. Un processo di riforma così importante come quello per cui si voterà il 4 dicembre avrebbe forse avuto bisogno di un clima meno esagitato e un contesto politico privo di fibrillazioni. L’errore iniziale è forse consistito soprattutto nelle forzature a cui si è assistito ripetutamente durante il lungo percorso di approvazione della riforma, spesso con le aule parlamentari in subbuglio e la pratica impossibilità di raggiungere significativi punti di convergenza. E’ stato questo un limite grave presente in qualche modo durante l’iter legislativo, reso ancor più grave dalla rottura del patto del Nazareno che sembrava poter costituire la base di un accordo. Il risultato invece è stato l’emergere, talvolta arrogante e non scevro di forzature e di scarsa capacità di coinvolgimento, da parte della maggioranza quasi volesse dimostrare che un processo così importante come la riforma della Costituzione dovesse comunque andare avanti nell’interesse del Paese e del suo migliore accreditamento anche in Europa. Forse facilitati dal senno di poi, è stato proprio questo il limite fondamentale che si trascinerà sino al voto del dicembre prossimo. Scontata ovviamente l’opposizione intransigente e l’incomunicabilità preconcetta dei 5 stelle, è emersa man mano sempre più forte la netta differenziazione di tutti gli altri schieramenti parlamentari compresa una parte significativa del Partito Democratico. Una costituzione per essere efficacemente rinnovata ha per sua natura bisogno di maggioranze le più ampie possibili e costituire comunque un momento di convergenza non solo nelle istituzioni ma anche nella società. Il rischio è quello di spaccare e dividere, mentre proprio nel suo profilo costituzionale è indispensabile esprimere un quadro di regole, competenze, funzioni e garanzie che vengano comprese e accettate da tutto un popolo che deve complessivamente essere interpretato dalle forze politiche ai fini di un migliore funzionamento delle istituzioni e del loro servizio all’intera comunità nazionale. Anche i temi della maggiore chiarezza e stabilità invece appaiono più declamati che risolti con efficacia e peggio ancora col rischio di apparire funzionali ad un certo equilibrio politico e alla sua durata nel tempo. Il presidente del Consiglio ha infatti sostenuto con passione la portata storica della sua riforma costituzionale accalorandosi sugli straordinari vantaggi che ne deriverebbero per la modernizzazione del Paese, la rottura delle incrostazioni burocratiche, la chiarificazione indispensabile dei rapporti con le regioni, lo snellimento delle procedure decisionali attraverso una migliore efficienza e rapidità di intervento con riduzione dei parlamentari e il superamento del bicameralismo paritario e il conseguente snellimento delle procedure e dei costi della politica. Il professore Zagrebelsky non ha accettato il piano con cadute demagogiche che Renzi cercava di imporre al confronto. Ha precisato più volte di non essere in alcun modo contrario alla riforma della Costituzione ma di essere contrario e preoccupato per questa riforma imposta dal governo. Il superamento del bicameralismo produce un nuovo Senato confuso che potrà peggiorare la situazione esistente e dare l’illusione di una riduzione dei costi della politica, del resto molto modesti, in presenza tra l’altro di un numero di deputati che rimane invariato. Resta confusa e pericolosa l’attribuzione delle funzioni al futuro Senato ridotto a 100 componenti rappresentativi di regioni e comuni senza che sia però chiaro come saranno eletti e come potranno conciliare la funzione di senatore con quella di consigliere regionale o di sindaco. Un brutto pasticcio che paradossalmente potrebbe contraddire l’effetto desiderato provocando contrasti e contrapposizioni non superati per il fatto che non voteranno la fiducia al governo. Anche per l’elezione del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali riserve e perplessità sono state espresse dal professore Zagrebelsky anche per possibili rischi alle garanzie democratiche e al bilanciamento dei poteri. La trasmissione moderata con la ben nota professionalità da Enrico Mentana lancia in qualche modo una sfida alla Rai. Non si capisce ancora come il servizio pubblico intenda assolvere alla sua funzione in vista della partenza della par-condicio e dei criteri che dovrebbero presiedere all’informazione sul referendum. E’ una questione cruciale per il futuro dell’Italia; sarebbe grave che soluzioni pilatesche e burocratiche impedissero ai cittadini di ottenere un contributo adeguato per districarsi tra le ragioni del si e quelle del no che intrecceranno inevitabilmente anche quelle dell’Italicum che tutti dicono di volere cambiare senza però che si comprenda ancora secondo quali obbiettivi e in che tempi.
(1 ottobre 2016)