E’ impressionante come, pure in regime imperante di precarietà e grande incertezza, i partiti ancora una volta si spartiscono la Rai, ciascuno col proprio lotto piccolo o grande che sia. Ovviamente, il Pd la fa da padrone e si assicura la parte maggiore della torta. Anche questo ancora più singolare per chi aveva annunciato “fuori i partiti dalla Rai”. Buona intenzione, rimasta come al solito sulla carta. Nella cosiddetta prima Repubblica la lottizzazione c’era e talvolta si perdevano giorni per l’individuazione del possibile presidente social democratico: da De Feo a Leo Birzoli. Il primo, che aveva anche doti letterarie ed era stato segretario di Togliatti all’arrivo a Napoli, ebbe pure in sorte di avere come genero Emilio Fede, definito da Carlo Mazzarella “ammogliato speciale”. C’era però “fortunatamente” l’egemonia di Bernabei che riusciva a garantire egregiamente le richieste delle correnti democristiane, quella di Fanfani prima di tutto, ma anche delle opposizioni, comunisti compresi. Il secondo, vicedirettore al giornale radio, marchigiano e prudente, si muoveva con passi felpati e grande equilibrio.
Leopoldo Elia e Alberto Ronchey, consiglieri Rai per un breve periodo e presto dimissionari, definirono quella stagione “lottizzazione” di tutti e di ciascuno. Lo stesso Msi ebbe un suo rappresentante, l’onorevole Rositani: prima componente della commissione vigilanza, poi revisore dei conti ed infine consigliere.uovo clima del centro destra, Mauro Mazza scalava addirittura la direzione del Tg1 e poi della rete 1 per favorire l’arrivo di Carlo Rossella, già rifondatore comunista e poi berlusconiano di ferro, famoso fra i colleghi soprattutto per la meticolosa conoscenza dei migliori locali della California, dal vestire accurato. C’era anche, naturalmente, la lottizzazione di sinistra: con Gad Lerner, naturale punta di diamante nella sua breve direzione al Tg1, fino a Gianni Riotta che introdusse il tg in maniche di camicia bianca e al Tg3 lo sfortunato conduttore, Marrazzo, veniva prestato alla presidenza della Regione Lazio incappando in una spiacevole vicenda di droga e trans. Del resto – senza droga e ossessioni sessuali – anche Piero Badaloni era stato scelto da Veltroni e Prodi come candidato presidente dell’Ulivo nel Lazio. Il massimo è raggiunto però dalla nomina di Augusto Minzolini, poi ben noto anche alle cronache giudiziarie e parlamentari. Ci sono poi altri due casi forse non meno clamorosi: Claudio Petruccioli che passa dalla presidenza della vigilanza Rai a quella di viale Mazzini dopo un colloquio mattiniero con Confalonieri; la presidenza del professor Roberto Zaccaria col direttore generale Pierluigi Celli: nessuno li rimpiange in azienda e fuori. Mi scuso per l’elencazione che vi assicuro è solo parziale e avendo passato molti anni in tv avrei potuto proseguire con altri esempi. Ne emerge purtroppo una patologia grave ed anche di forte ingiustizia nel trattamento dei singoli, specie al livello delle sedi regionali e dei giornali radio stupidamente considerati “la sorella cieca”. Tra l’altro la radio, nonostante la prevalente cadenza filogovernativa, mantiene almeno per lo sport una qualche parvenza di servizio pubblico. Mentre in tv – con i goal del campionato, che un tempo era la Rai a offrire per prima con la famosa trasmissione “ultimo minuto” di Paolo Valenti e del leggendario Tonino Canino da Ascoli – arriva ben ultima con insulsi sproloqui di commentatori ed esperti modesti, logorroici e di scarsa qualità. Del resto, rimane da sempre il problema dei trattamenti squilibrati tra soldati semplici e graduati, specie tra il centro e le sedi regionali, la vergogna dei precari e dei contratti a termine che anche per complicità del sindacato diventano spesso causa di ricorsi alla magistratura del lavoro e di assunzioni clientelari.
Il tentativo di riflessione non vuole ridursi a facili scandalismi, a particolari piccanti o a particolari pruriginosi, ma porre in rilievo il mal governo che caratterizza da sempre la Rai proprio per un eccesso di dipendenza dalla politica e dall’ossessione che il suo controllo possa influire ed essere determinante nei comportamenti elettorali. Un vero e proprio errore strategico, specie in un tempo di multimedialità e di social media che, questi sì, possono essere determinanti ed influenti. L’informazione politica forse è quella che meno influisce sul voto. L’ultima clamorosa conferma è rappresentata dall’esito dalla sconfitta Dem di oltre 20 punti, nonostante le enormi spese per garantirsi la collaborazione di mister Messina, responsabile della campagna elettorale di Obama suggerito con scarsa fortuna all’allora presidente del Consiglio. Sugli spettatori incidono di più commedie e spettacoli, forse i comici di Striscia la notizia e alla Crozza, la cronaca delle violenze, dei furti, delle rapine e dell’enorme dibattito suscitato dalla polemica sui vaccini e la legittima difesa. Ma i nostri politici hanno respiro corto e non amano la lungimiranza e le prospettive lunghe, rinchiusi nell’involucro della convenienza a breve e della paura di perdere. Ma proprio questo dovrebbe essere una ragione forte per abbandonare definitivamente ogni desiderio di appropriazione, di controllo e di comando sulla Rai, che del resto dovrebbe sempre avere di mira i propri destinatari, cioè i cittadini elettori e la loro richiesta di conoscere ed essere informati in modo pluralistico e il più possibilmente corretto, senza intrallazzi e manfrine che tra l’altro possono essere controproducenti e comunque contrarie allo sviluppo della democrazia, del rispetto reciproco, tra soggetti dalle idee differenti e contrapposte, ma che attraverso i media dovrebbero essere accompagnati ad una formazione civica, indispensabile nel momento in cui né la scuola, né le altre agenzie formative riescono a svilupparla e promuoverla.