Stefano Rodotà ha concluso la sua lunga corsa che lascia importanti tracce e segnali. Non solo nelle battaglie civili e per la Costituzione, ma anche per la moralità della politica, la lotta alla corruzione e alle mafie, ai conflitti d’interessi in una visione sempre finalizzata al bene comune della società nel suo insieme. Un maestro civile che potevi incontrare ai concerti e alle mostre, in libreria e anche al supermercato a spingere come tutti il suo carrello. La notizia, in parte forse inattesa, è stata quasi ignorata dalla Rai. In ogni caso ha ottenuto molto più rilievo il rinnovo – a pochi euro – del contratto di Fazio sicuramente atteso con ansia da milioni di italiani: il primo atto della nuova Rai del nuovo direttore generale, in perfetta sintonia con la presidente Maggioni. Alle prese quest’ultima con l’antipatica vicenda delle spese a carico dell’azienda durante le innumerevoli tournée per l’Italia al fine di facilitare la sponsorizzazione e la vendita del proprio fondamentale volume sull’estremismo islamico. A Minzolini toccò giustamente una condizione differente con la condanna del tribunale e lo squallore di un voto del Senato che lo assolse consentendogli l’estrema via d’uscita delle dimissioni, estrema ratio per salvare in qualche modo dignità ed onore. Mentre in Rai prosegue dunque il solito deteriore tran-tran con un Consiglio silente e connivente, a Torino si svolge una straordinaria assise mondiale per i 150 anni de ”La Stampa”, nessun dirigente Rai è presente, non si conosce alcun progetto o prospettiva per il futuro del servizio pubblico.
Tace il governo, in attesa forse di conoscere l’esito dei ballottaggi e l’ammontare dei nuovi compensi di Vespa e dei suoi figli, assunti al ruolo di esperti e commentatori dei programmi pomeridiani di Rai 1. La Rai si configura sempre più come grande questione nazionale su cui però le connivenze e le convenienze sono numerose, mentre governo e parlamento fanno il gioco delle tre scimmiette, nell’assenza di voci significative e autorevoli provenienti magari dall’interno stesso di viale Mazzini o di Saxa Rubra. Il governo Renzi e l’azienda avrebbero dovuto raccontare la conclusione della diatriba sul tetto dei compensi. Con tattica italica si è fatto passare il tempo, nulla si conosce tranne il compiaciuto giudizio del successore del direttore Campo dell’Orto “su una Rai che mantiene il primato degli ascolti”. Questo è tutto , senza nulla aggiungere sulla loro composizione, di che tipo di pubblico – giovane o anziano – è caratterizzato tra le diverse fasce orarie dei palinsesti. Eppure l’uscita di un direttore-amministratore delegato, anticipata e criticata ben prima che fosse formalizzata, non è servita a chiarire quale strategia di tipo culturale ed etico-civile, in certa misura “correttamente pedagogica”, si volesse imprimere alla nuova Rai di Renzi che aveva promesso ”finalmente fuori i partiti dalla Rai tv”. C’è stato tra l’altro di mezzo il referendum del 4 dicembre che ha clamorosamente mostrato una Rai totalmente infatuata e invasa da palazzo Chigi. In quel contesto era ovviamente impossibile mostrare una vera attenzione alla cultura del pluralismo e del confronto, stimoli indispensabili per favorire partecipazione civile, comprensione critica, solidarietà e dialogo. Anche questo, crediamo, il servizio pubblico dovrebbe svolgere nell’affrontare le questioni epocali delle migrazioni e del terrorismo. Specie se non ignoriamo che gli eventi tragici, soprattutto in Europa, sono prodotti da estremisti di casa nostra, radicalizzati nelle nostre carceri e portatori di rabbia e di carica di rivalsa sociale maturate nei ghetti e nei dormitori di periferie squallide e abbandonate. Tutto si concentra invece inevitabilmente sull’attesa dei ballottaggi e della “scoppola”che ne potrebbe derivare per Renzi e Grillo, i due grilli più battibeccanti del pollaio. Entrambi – in singolare tandem possibili perdenti di una partita molto limitata come i ballottaggi comunali – potrebbero però contribuire ad esprimere qualche segnale utile per cominciare a decifrare meglio il futuro.