Sono trascorsi vent’anni dal bombardamento Usa nell’ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Belgrado. Il caso definito subito un errore tecnologico, di anomale dimensioni e soprattutto poco credibili, segna l’inizio di tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina, facendo emergere profonde incomprensioni reciproche.
‘’Non una casualità’’, dichiarò immediatamente la Cina, sul bombardamento dell’ambasciata cinese in Jugoslavia del 7 maggio 1999. La sostenibilità dello sbaglio, non trovò infatti molti consensi che accreditassero la fatalità della vicenda sostanzialmente legata agli avanzatissimi impianti tecnologici degni della superpotenza americana.
I disaccordi Cina – Usa che i tre missili caduti sull’ambasciata di Belgrado hanno causato, negli anni sono andati intensificandosi aprendo a nuovi e complessi scenari geopolitici, ed economici, con lo sguardo della Cina ultimamente rivolto all’Europa.
Tre i morti fra i diplomatici cinesi, venti i feriti oltre quattordici serbi di cui la stampa estera non citò tra le pagine di quella notte di bombardamenti tra il 7 e l’8 maggio 1999. I cinque missili statunitensi arrivano sull’ambasciata cinese di Belgrado, nel momento di scontro più cruciale tra Nato e la Repubblica Federale di Jugoslavia del predidente Slobodan Miloševic, durante l’operazione Allied Force. La campagna di attacchi aerei condotta dalla Nato, dal 24 marzo al 10 giugno di quell’anno, con l’intento di ricondurre la Serbia, al tavolo delle trattative legate alla crisi del Kosovo, in quel momento in pressione, per la progressiva militarizzazione della Regione da parte delle forze militari e para militari serbe e per l’intensificarsi delle attività dell’UÇK(‘Esercito di liberazione del Kosovo). L’escalatione della crisi seguita dagli osservatori internazionali e dai Paesi europei, interessò particolarmente gli Stati Uniti e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ritenne eccessivo e condannò l’uso della violenza di entrambi le parti, bosniaca e serba.
L’attacco missilistico della notte del 7 maggio alla sede diplomatica cinese a Belgrado fu giustificata dagli americani un tragico errore dovuto alle mappe non aggiornate, ma già nell’autunno del 1999, dalla stampa estera cominciavano ad emergere chiaramente forti dubbi sulla natura ‘’dell’attacco deliberato» della Nato’’ scrivevano i giornali britannici.
Gli americani, si disse, avrebbero raccolto le prove che l’ambasciata cinese fosse il nascondiglio segreto della nomenclatura dei servizi segreti jugoslavi.
A dieci anni dalla vicenda arriveranno le prime ammissioni. La Cina anche se parzialmente, conferma la propria compromissione, secondo la rivista Qiansao di Hong Kong, che ne diffuse le memorie di Jang Zemin. L’ex presidente cinese, avrebbe accettato di accogliere l’èlite della sicurezza militare jugoslava, su personale richiesta di Slobodan Milosevic. Ma la Cina non si sarebbe soltanto limitata a nascondere nei sotterranei dell’ambasciata nella Nuova Belgrado, i massimi esponenti dell’intelligence serba, ma avrebbe, secondo quanto riportato dal periodico di Hong Kong, anche rifornito di armi la Serbia, spedendo in Jugoslavia ‘’missili terra-aria attraverso la Libia’’. Ospitalità e armamenti avrebbero assicurato la continuità delle operatività. Le memorie di Jang, se autentiche, sarebbero a metà strada tra ammissione e disconoscimento della verità, quando a chiusura dei ricordi l’ex presidente cinese glissa, con si è trattato di ‘’grave errore politico’’. Un errore politico che avrebbe consentito di ottenere in cambio radar appartenenti alla flotta aerea americana, dispersi sul suolo jugoslavo durante la contro-area serba. Strumenti elettro-tecnologici avanzati com’è nella storia dell’industria Usa e molto ambiti da Pechino, abilmente specializzata nella riproduzione dei più sofisticati congegni elettronici.
L’analisi della strumentazione recuperata, grazie alla cruenta operazione di Belgrado la notte del 7 maggio 1999, avrebbe dato un quid in più alla capacità operativa dell’aeronautica cinese sul piano della supremazia aerea internazionale. Il progetto Chengdu J-20, avviato da Pechino negli anni della crisi del Kosovo, ha portato allo sviluppo del primo caccia stealth biposto di quinta generazione al mondo, ufficialmente presentato nel gennaio scorso in uno speciale trasmesso dalla China Central Television.
Il Chengdu J-20, primo caccia di quinta generazione della Cina nella variante biposto, potrebbe essere sviluppata come piattaforma tattica da guerra elettronica o imbarcata sulle portaerei cinesi. Lo stesso Pentagono la ha definita ‘’la prima piattaforma a lungo raggio della Cina in grado di penetrare ambienti pesantemente difesi’’.
Al centro di questo impietoso scenario, la pace internazionale in precario equilibrio e sotto la regia di perverse dinamiche geopolitiche mondiali, come accade la notte del 7 maggio ’99 che aggiunse sangue a Belgrado già violentata e tinta di rosso dalla crisi serba.