Roma, 19 settembre 2020 – Mi provoca tanta nostalgia l’anniversario dei 60 anni dei Giochi paralimpici che proprio a Roma ebbero il loro inizio. Fu subito un evento eccezionale e anche una via di riscatto per milioni e milioni di ragazzi in tutto il mondo, impegnati a potersi misurare con le proprie difficoltà e impostare il confronto con altri pari concorrenti. Non solo confrontandosi con gli handicap del proprio fisico ma costituire un esempio per tanti altri giovani nelle loro analoghe condizioni stimolandoli a intraprendere percorsi analoghi, affrontare esercizi e prove non comuni finalizzati non solo al risultato sportivo, pur importante, ma anche ad una crescita umana e del carattere. In questo senso anche il gareggiare e mettersi alla prova con altri pari concorrenti, rappresenta una evidente dimensione della esistenza e del percorso della vita giorno per giorno con le sue difficoltà e problemi. Si può ben dire perciò, dopo 60 anni dei Giochi di Roma, che il movimento paralimpico non solo si è straordinariamente diffuso, ma è diventato positivamente esemplare a cominciare dal mondo della scuola, per tutti quei giovani alla ricerca di sicurezza ed identità.
Difficile trascurare poi l’effetto moltiplicatore di un beneficio non solo fisico per tanti atleti paralimpici, tali a causa di incidente di vario tipo e di differente gravità, da quelli stradali a quelli sul lavoro a quelli sulla carrozzella e al salto con un arto menomato. La loro prestazione vale a spingere alla pratica sportiva molti altri giovani alle prese con problemi analoghi, serve a testimoniare a tutti la possibilità di impiegare il proprio tempo ed energie ad attività più utili a sé e agli altri per contribuire a far maturare un senso di comunità troppo assente nelle nostre città e nelle nostre periferie.