Siamo afflitti da troppe parole. Viviamo il tempo dello scrivere inutile. Quanti libri banali inutili edulcorati. Dove è la vita? Si scrive per apparire. La morte della parola esplora dal troppo scrivere.
E ora basta. Molti hanno l’illusione di scrivere. Tanti scrivono il nulla o l’ovvio. Che senso ha scrivere soprattutto versi. Oggi. Si smetta di usare parole…
C’è una letteratura della superficie che diventa espressione dell’inutile. È tempo di riflettere. Non tutti comprendono. Non tutti hanno la scrittura nella capacità della profondità. Troppi versi della banalità campeggiano.
Troppe classifiche e schemi. L’intellettuale non esiste più. La poesia non ha più senso. La filosofia è uno spreco di pensieri in libertà. Ma che senso ha scrivere? Comportiamoci da eredi.
I profeti sono finiti. Una letteratura che non riesce ad essere profezia non ha alcuna provvidenza profetica. La metafisica ha una stanza nella quale il pensiero incontra i linguaggi. Basta con la poesia. È finito il tempo. Occorrono problematicità e cadute. Siamo enigma. Aboliamo le parole.
Abitiamo il silenzio. Troppe parole hanno distrutto la poesia. La poesia non conosce il reale ma il mistero il segreto la solitudine. Se non è elitaria è massificazione. La poesia non può essere folla. Non è antologia piazza declinazione. Il resto è fallimento.
Perché tutto ciò?
Scrivere non è raccontare soltanto. È abitarsi lungo le strade che fanno del vissuto una alchimia del silenzio. Non ci alza un bel mattino con l’idea di mettersi a comporre parole dietro parole. Tanto meno si cerca di superare l’insonnia infilando una malinconia dentro un vocabolario inesistente.
Bisogna scardinare le macerie abbandonate tra le rovine della propria anima e il pensiero spezzato tra le mani di pietra. Ricostruirsi è una icona una ironia una maledizione. Non si scrive per far echeggiare una conchiglia.
Soltanto chi ha vissuto ha il diritto di testimoniarsi. Si scrive con il sottosuolo. Mai per vanità.
Comunque la morte della parola è l’inizio di un nuovo linguaggio. Bisogna scrivere quando la morte tocca il terribile. Altrimenti tutto diventa cronaca.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. E’ Presidente di Commissione Conferimento del titolo “Capitale italiana del Libro 2024“, di cui al decreto del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano del 28 Novembre 2023. Archeologo già direttore del Ministero Beni Culturali, componente la Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, presidente del Centro Studi “Francesco Grisi”. Ha insegnato in Sapienza Università di Roma. Ricopre, numerosi altri incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura nei Paesi Esteri. È responsabile, per conto del MiBAC, del progetto di studio sulle Presenze minoritarie in Italia. Candidato al Nobel per la Letteratura è saggista, poeta e italianista. Esperto di letteratura del Mediterraneo. Vive la filosofia come modello di antropologia religiosa. Numerosi sono i suoi testi sulla letteratura italiana ed europea del Novecento, tradotti e diffusi all’estero su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.I due segmenti fondamentali che caratterizzano il suo viaggio letterario sono la memoria e la nostalgia. Il mito è la chiave di lettura. Tutta la sua poetica vive di queste atmosfere. Non ha mai creduto al realismo in letteratura. Il realismo è cronaca, è rappresentazione, è documento.Il simbolo, invece, è mistero. E’ metafora, è fantasia, è sogno.