Roma, 6 feb. 2024 – È come se fosse passata un’epoca. O secoli d’infinito da quando non ci sei più. I giorni hanno un trascorre lento in un tempo veloce. I garofani e le orchidee hanno preso il vento della sera e sono appassiti come i fichi di febbraio sotto il sole di aprile. Eravamo rimasti solo io e te a raccontarci la storia di una famiglia che riscoprivamo con ricordi appesi alle parole e agli sguardi timidi di una sorella e di un fratello.
La fratellanza è un legame di sangue che stringe patti che nessuno può mai sapere. I tuoi messaggi restano ancora sul telefonino e tu mi parlavi, appunto, della fratellanza che non passa mai. Anche quando si resta soli.
Eravamo in quattro in quei luoghi d’infanzia che hanno fotografie in bianco e nero. Scorrono le memorie annodate sui fili del cuore e nello spazio dell’anima. Di quando bambini andavamo al mare sotto lo sguardo attento di Italo e Maria che in un mio libro ho chiamato con i nomi dello sciamano e della curandera. Eppure sono quei volti insieme al tuo che riempiono di silenzio le mie malinconie. Sono tante.
Io ho della malinconia il vostro silenzio e il vostro sorriso. Mi riempiono molte notti. Soprattutto quando mi trovo ad essere solo nei miei viaggi. Come l’ultimo. Sei stata la mia consolazione da quando lo sciamano e la curandera sono andati via con il soffio di dicembre e con una ottobrata di mistero. Ma tu, tu non dovevi andar via.
Avevo fatto l’impossibile e tu lo hai sempre saputo. Mi manchi. Eri le mie radici e il testamento ultimo della mia nostra vita.
Sei andata via anche tu in un’età che non poteva portarti via. Mi rimproveravi per la mia vita disordinata e per i troppi sigari che fumavo. Mi rimproveravi perché non smettevo di partire ritornare e ripartire all’improvviso.
Giulia i tuoi allievi, appena mi incontrano, mi chiedono spesso di te. Hai formato generazioni a quell’educazione del rispetto e dell’amore. So tutto. In modo silente mi hai consegnato un patrimonio di valori che forse non riesco a portare avanti.
Ci comprendevamo negli ultimi anni con un gesto, una sensazione, una percezione. Ti ho lasciata gioiosa e ironica. Come era ironico il nostro sciamano. Hai ereditato da lui l’ironia e la saggezza. Io ho ereditato la malinconia e l’inquietudine da nostra madre.
Sfoglio i tuoi libri di pedagogia ancora nella biblioteca della casa con le palme. I tuoi appunti nei quaderni e la tua scrittura bella, pulita, corretta. In questo eravamo diversi. Io sempre confuso. Anche ora. Tu sempre precisa, minuziosa, chiara. Forse due caratteri che si completavano.
Manchi. Non ci sono rimpianti che stringono le dita. O forse sì. Abbiamo vissuto gli ultimi anni con il nostro cercarci. Ti rivedo nell’ultima fotografia della festa. Bella. Eravamo riusciti a essere tu Giù e io Piè. È trascorso un anno. Ripenso spesso a questa tua assenza. Sei mancanza e mai oblio. E in quest’ultimo anno invece di riposarmi, come tu mi chiedevi, ho ripreso viaggi folli. Per dimenticare un po’. Ma cosa?
Non esiste la dimenticanza. Esiste la fratellanza. Dobbiamo scrivere la storia della nostra fratellanza, mi hai suggerito l’ultima volta che ti ho vista. Infatti stavamo per scriverla, cominciando a rileggere le lettere di Italo e Maria: la loro storia d’amore. Quelle lettere sono ancora chiuse in una cartella. Non riesco a aprirla più.
La tua assenza diventa sempre più mancanza. Convivo con questa mancanza. Una mia amica proprio stasera sentendomi al telefono mi ha detto che mi sentiva triste. Ed io ho risposto che non sono triste. Malinconico sì. Mi aiuta a convivere con la tua mancanza.
Qualche giorno fa ho fatto un viaggio labirintico per venirti a salutare. Sono stato anche a Pompei. Ci eravamo dati appuntamento a Pompei. Lo sai e lo so. Ci sono andato da solo. Ci sono andato per te e ho pregato per te. Nostra madre ci diceva spesso che bisogna sempre rivolgersi alla Madonna di Pompei. L’ho fatto in solitudine questo viaggio.
Da Assisi a Pompei. La vita è una scommessa che scommette su di noi. Eppure è una dimensione in cui l’orante si incontra con il penitente. Ancora una volta ti dico: smetti di morire. Il tempo è una pausa breve anche se i giorni restano lunghi.
Il tempo è una pausa breve anche se i giorni restano lunghi. Lo so, le aquile volano in solitudine ci diceva nostro padre. In quale angolo raccontare questa fratellanza? Chiedilo a loro, a papà e a mamma, io vi ascolterò nelle sere all’imbrunire dei tramonti sul mare.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria e vive tra Roma e la Puglia. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario, è direttore archeologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di Letteratura dei Mediterranei, vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. Ha pubblicato oltre 120 libri, tra poesia saggistica e narrativa. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Recentemente, con decreto del Ministro della Cultura, è stato nominato Presidente della Commissione per il conferimento del titolo di “Capitale italiana del Libro 2024“. @riproduzione riservata