Migliaia di profughi giuliano dalmati furono trasferiti in quei territori ridefiniti dai trattati di pace a chiusura del secondo conflitto mondiale.
A guerra finita la tragedia di una nuova dittatura segnata dal terrore in un periodo ancora odorante del sangue sparso dagli estremismi occidentali, apre ad una pagina del Novecento rimasta oscurata per decenni. Nuovi confini orientali del territorio nazionale stabiliti dai trattati secondo cui non era consentito rimanere italiani, contestualizzano l’eccidio delle foibe cui seguì l’esodo di massa giuliano dalmata. Coercitivo flusso migratorio della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, dal Quarnaro e dalla Dalmazia. Ovvero i territori del Regno d’Italia prima occupati dalla Germania nazista, poi dall’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia tramite i trattati di pace di Parigi del 1947.
Impositiva fu la loro perdita di identità coniugata tragicamente a sofferenze inenarrabili sullo sfondo dell’azzeramento del passato, ricordi sogni e speranze a fronte di un minaccioso futuro che portava con sé la cancellazione della propria esistenza. Violenze ed eliminazioni fisiche di migliaia di italiani torturati ed inghiottiti dal vortice dei campi di concentramento sull’onda del massacro delle foibe.
A finire impietosamente nelle profonde buche in terra istriana furono donne e uomini ritenuti nemici, tra fascisti e molti italiani comuni sospinti nell’orda mortifera dei comunisti partigiani jugoslavi ma anche italiani.
Le vittime dunque non furono solo oppositori politici in quanto rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana visti come potenziali nemici del futuro costituendo Stato comunista jugoslavo .
Nel 1943 e nel 1945, in due ondate precipitarono nelle cavità chiamate foibe profonde centinaia di metri, donne e uomini già morti oppure ancora in vita. Le efferate uccisioni del 1943 nella Venezia Giulia si aggirano sulle 600-700 persone.
Norma Cossetto, don Angelo Tarticchio e le tre sorelle Radecchi inghiottite nella Foiba di Terli, sono entrati nella memoria collettiva degli esuli istriani, fiumani e dalmati costretti a lasciare la loro terra, improvvisamente orfani della loro identità.
Sulle macerie lasciate dalla seconda guerra mondiale sul filo di una trasformazione geopolitica esacerbata dalla formazione dei due blocchi contrapposti Comunista e Occidentale, si apriva una complessa fase della storia che vedeva Trieste e i confini italiani, quali questioni ancora irrisolte all’ombra tragica di violenze perpetrate verso chi chiedeva accoglienza.
Una storia occultata per lungo tempo da un silenzio indegnosamente assordante e violento che aggiungeva crudeltà all’eccidio delle foibe.
Una pagina feroce sottaciuta e sottratta alla nostra storia nazionale per troppi anni. Una verità negata in spregio alla morte di migliaia di italiani trucidati e gettati nelle cavità carsiche dai comunisti slavi e dei 350mila connazionali costretti ad andare via dalla loro terra perché italiani. Un dramma non soltanto italiano, nelle foibe finirono anche Serbi, Croati, Sloveni, Montenegrini e Tedeschi.
Per gli italiani stranieri fra gli italiani stessi, il processo di integrazione lungo e complicato dentro la città di Fiume e i territori oltre l’adriatico sotto la tirannica egemonia di Tito, si trasformò in uno sfilacciamento identitario pesantemente vissuto insieme allo status di profughi.
Quanto pesò in piena Guerra Fredda il mantenimento dei precari equilibri politici con la Jugoslavia di Tito perché si attenuasse il silenzio ordito sull’eccidio delle foibe per una verità tragica delle Gole carsiche artatamente tralasciata e non emersa pienamente?!
Aver tenuto nell’oblio una vicenda cosi cruenta è da ricondursi ad un’azione di responsabilità morale intorno a misfatti di pulizia etnica negati per pregiudiziali ideologiche.
La prima in assoluto è che gli infoibati fossero fascisti contro i quali aver sfoderato l’arma della vendetta sbiancava giustificando la tragicità del massacro. Ricordata tra tutte dal giornalista Tony Capuozzo una vittima. ” Oggi voglio ricordare solo una vittima, che da sola basterebbe a spiegare la ferocia delle ideologie. Si chiamava Angelo Adam, meccanico, ed era di Fiume. Il 2 dicembre 1943 era stato deportato dai nazisti a Dachau, con il numero di matricola 59001. Era sopravvissuto ed era tornato alla sua città. Nel 1945 venne prelevato con la moglie dai titini e scomparve. Come la figlia diciassettenne, che aveva chiesto notizia dei genitori. Angelo Adam aveva 45 anni, era italiano, era antifascista, ed era ebreo”.
Sulle macerie lasciate dalla seconda guerra mondiale sul filo di una trasformazione geopolitica esacerbata dalla formazione dei due blocchi contrapposti Comunista e Occidentale, si apriva una complessa fase della storia che vedeva Trieste e i confini italiani, questioni ancora irrisolte all’ombra tragica di violenze perpetrate verso chi chiedeva accoglienza.
Soltanto vent’anni fa la commemorazione delle foibe diviene ufficiale. Il Giorno del Ricordo del 10 febbraio, arriva oltre sessant’anni dopo le ondate di eccidi, con la Legge istitutiva 92/2004.
Il riconoscimento del massacro delle foibe come crimine contro l’umanità finalmente assumeva connotati chiari contro il tentativo negazionista pregiudizialmente ideologico e dannoso per la storia del Paese. Il 10 febbraio per ricordare una ferita insanabilmente profonda nella memoria e nella coscienza nazionale.