di Francesco Saverio Vetere- Segretario generale Unione Stampa Periodica Italiana USPI, docente Sapienza Università di Roma *
La radio ha rivoluzionato il mondo della comunicazione nel XX secolo, trasformando radicalmente il modo in cui le notizie venivano diffuse e ricevute. La sua nascita e diffusione hanno avuto un impatto significativo sull’informazione cartacea, in particolare sui quotidiani, che hanno perso il primato di tempestività nell’informare il pubblico. In Italia, tuttavia, il regime fascista di Benito Mussolini segnò alla radio un ruolo subordinato rispetto ai quotidiani, mantenendo un rigido controllo sul mezzo radiofonico che rimase esclusivamente pubblico fino agli anni ’70.
Origini della radio e dell’informazione radiofonica
Le prime sperimentazioni nel campo delle comunicazioni senza fili risalgono alla fine del XIX secolo, con scienziati come Guglielmo Marconi, Nikola Tesla e Heinrich Hertz. Marconi, in particolare, è considerato uno dei padri della radio per aver sviluppato un sistema di telegrafia senza fili pratico e commerciale. Nel 1895, riuscì a trasmettere segnali a distanza senza l’uso di fili, aprendo la strada alla radiocomunicazione.
La prima trasmissione radiofonica di cui si ha notizia avvenne il 24 dicembre 1906, quando Reginald Fessenden trasmise musica e parole a operatori navali nell’Oceano Atlantico. Tuttavia, fu solo negli anni ’20 che la radio iniziò a diffondersi come mezzo di comunicazione di massa. Negli Stati Uniti, la stazione KDKA di Pittsburgh iniziò le trasmissioni regolari nel 1920, mentre in Europa si assisteva ad un rapido sviluppo di stazioni radiofoniche pubbliche e private.
La radio in Italia: controllo statale e ruolo subordinato
In Italia, la radio nacque come servizio pubblico e rimase sotto stretto controllo statale fino agli anni ’70. Nel 1924 fu fondata l’URI (Unione Radiofonica Italiana), che nel 1927 divenne EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), l’ente radiotelevisivo pubblico controllato dal governo. Durante il regime fascista, Benito Mussolini riconobbe il potenziale della radio come strumento di propaganda, ma inizialmente come insegnato al mezzo un ruolo subordinato rispetto ai quotidiani.
Mussolini, che aveva iniziato la sua carriera come giornalista, attribuiva grande importanza alla stampa come veicolo di diffusione delle idee fasciste. I quotidiani erano considerati strumenti chiave per plasmare l’opinione pubblica e mantenere il consenso al regime. La radio, sebbene utilizzata per diffondere discorsi e messaggi propagandistici, rimase sotto un controllo ancora più stretto, con una programmazione limitata e fortemente censurata.
Il regime impose severe restrizioni sulla radio, limitando la varietà dei contenuti e impedendo lo sviluppo di emittenti private. La radio era vista principalmente come mezzo per trasmettere i messaggi del regime, piuttosto che come fonte di informazione indipendente. Questo controllo contribuì a mantenere la radio in una posizione subordinata rispetto ai quotidiani, che, pur soggetti a censura, godevano di una maggiore diffusione e varietà di contenuti.
Rapporto con l’informazione cartacea
Prima dell’avvento della radio, i quotidiani erano la principale fonte di notizie per il pubblico. Essi detenevano il monopolio dell’informazione, fornendo aggiornamenti sugli eventi locali e internazionali. La radio, però, introdusse un nuovo modo di diffondere le notizie: immediato, accessibile e capace di raggiungere un vasto pubblico in tempo reale.
Nonostante le potenzialità della radio, in Italia il suo sviluppo come mezzo informativo fu limitato dalle politiche del regime fascista. I quotidiani mantennero una posizione di rilievo nell’informazione, anche grazie al sostegno di Mussolini, che vedeva nella stampa un mezzo più controllabile e affidabile per la propaganda. La radio serviva principalmente a rafforzare i messaggi già diffusi attraverso i giornali, piuttosto che a competere con essi.
Perdita del primato di tempestività dei quotidiani
A livello internazionale, con la diffusione della radio, i quotidiani persero il loro primato come fonte più rapida di informazione. Gli ascoltatori potevano ricevere notizie fresche direttamente nelle loro case, senza dover aspettare l’edizione successiva del giornale. Questo cambiamento costrinse i quotidiani a rivedere il loro ruolo nell’ecosistema dei media.
In Italia, tuttavia, a causa del controllo esercitato dal regime sulla radio, l’impatto immediato sulla stampa fu meno pronunciato. I quotidiani continuarono ad essere la fonte principale di informazione, mentre la radio si concentrava sulla diffusione dei discorsi ufficiali e dei programmi approvati dallo Stato. Solo dopo la caduta del fascismo e con la progressiva liberalizzazione dei media, la radio iniziò a sviluppare pienamente il suo potenziale informativo.
La natura pubblica della radio in Italia fino agli anni ’70
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’EIAR fu sostituita dalla RAI (Radiotelevisione Italiana), che mantenne il monopolio statale sulle trasmissioni radiofoniche e, successivamente, televisive. La radio rimase un servizio pubblico esclusivo fino agli anni ’70, quando iniziarono a emergere le prime radio libere o private, spinte dal desiderio di pluralismo informativo e dalla richiesta di contenuti più diversificati.
La liberalizzazione dell’etere avvenne gradualmente, e solo nel 1976 la Corte Costituzionale sancì la legittimità delle trasmissioni radiofoniche private su scala locale, aprendo la strada alla nascita di numerosi emittenti indipendenti. Questo segnò la fine del monopolio pubblico sulla radio in Italia e avviò una nuova era di pluralismo e competizione nel settore delle comunicazioni.
Conclusione
La nascita della radio e dell’informazione radiofonica ha avuto un impatto profondo sull’informazione cartacea a livello globale, segnando la fine del monopolio dei quotidiani sulla tempestività delle notizie. In Italia, il controllo esercitato dal regime fascista e la natura pubblica della radio fino agli anni ’70 hanno influenzato lo sviluppo del mezzo, mantenendolo in una posizione subordinata rispetto ai quotidiani per gran parte del XX secolo. Solo con la liberalizzazione delle trasmissioni radiofoniche, la radio italiana ha potuto esprimere appieno il suo potenziale informativo, contribuendo al pluralismo e all’innovazione nel campo dei media.
(Fonte http://Vetere.it)
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Francesco Saverio Vetere, nato a Cosenza il 26 aprile 1962, vive a Roma.
Avvocato patrocinante in Cassazione.
Dal novembre 1999 è Segretario Generale e Presidente della Giunta Esecutiva dell’USPI Unione Stampa Periodica Italiana, organismo nazionale di maggiore rappresentanza del comparto Editoria e Giornalismo.
Giornalista pubblicista.
Docente di Storia della Stampa Periodica, Università “Sapienza” di Roma.
Docente di Management dell’Editoria Periodica, Università “Sapienza” di Roma.
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