di Francesco Saverio Vetere – Segretario generale Uspi
Testo:
L’iniziativa economica privata
è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.
L’articolo 41 della Costituzione Italiana disciplina la libertà di iniziativa economica privata e i limiti ad essa posti dallo Stato. L’articolo si compone di tre commi, ciascuno dei quali presenta aspetti distinti riguardo al ruolo dell’iniziativa economica privata e pubblica.
Primo comma: la libertà dell’iniziativa economica privata
Il primo comma afferma: “L’iniziativa economica privata è libera”. Questo sancisce il principio fondamentale che gli individui hanno il diritto di avviare attività economiche senza restrizioni arbitrarie. Tuttavia, è importante sottolineare che la libertà riguarda l’iniziativa economica privata, non l’attività economica in sé. Ciò significa che, sebbene i privati abbiano la libertà di avviare un’impresa, l’esercizio effettivo dell’attività è soggetto a leggi e regolamenti specifici che devono essere rispettati.
L’aggettivo “privata” è significativo perché la Costituzione non menziona l’iniziativa economica pubblica in questo comma. Questo suggerisce che lo Stato non può intraprendere liberamente attività economiche come farebbe un privato, ma deve operare entro i limiti stabiliti dalla legge e perseguendo fini pubblici specifici.
Il testo del primo comma è stato oggetto di un lungo dibattito sulla portata generale dell’articolo 41: se esso si applichi esclusivamente all’attività d’impresa in senso stretto o anche ad altre attività di rilevanza economica, come le professioni liberali e il lavoro autonomo. L’interpretazione più ampia, e considerata più corretta, estende la protezione costituzionale anche a queste forme di attività economica, riconoscendo il loro contributo al tessuto economico e sociale del Paese.
Secondo comma: limiti negativi o interni
Il secondo comma introduce dei limiti alla libertà sancita nel primo comma: “L’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana”. Questi sono definiti limiti negativi o interni perché stabilizzano ciò che non è consentito nell’esercizio dell’iniziativa economica.
Il concetto di “utilità sociale” è centrale ma anche ambiguo, poiché può essere soggetto a interpretazioni variabili nel tempo e nello spazio. Si tratta di una clausola generale, simile a quelle presenti nel diritto privato come la “buona fede” o il “buon costume”, che richiede un’interpretazione giudiziale per essere applicata ai casi concreti. Queste clausole, dunque, sono elastiche e adattabili alle mutevoli esigenze della società.
I limiti interni riflettono il principio illuministico secondo cui la libertà di ognuno termina dove inizia quella degli altri. In altre parole, l’esercizio della libertà economica deve avvenire nel rispetto dei diritti altrui e del bene comune.
Terzo comma: limiti positivi o esterni
Il terzo comma prevede: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Qui si introducono limiti positivi o esterni, poiché si attribuisce alla legge il compito di indirizzare e coordinare l’attività economica verso obiettivi socialmente desiderabili.
È importante notare la presenza di una riserva di legge relativa: spetta al legislatore stabilire i principi fondamentali, mentre le norme di dettaglio possono essere delegate a normazioni secondarie. Questo permette una certa flessibilità nell’attuazione delle politiche economiche, pur mantenendo un controllo democratico attraverso il Parlamento.
Diverse interpretazioni del terzo comma
Il terzo comma è stato oggetto di varie letture:
Interpretazione collettivista: considera il comma come la base per una forte pianificazione statale dell’economia, con l’obiettivo di indirizzare l’attività economica verso fini sociali definiti dallo Stato. Questa visione è influenzata da ideologie socialiste o collettiviste.
Separazione delle funzioni tra pubblico e privato: propone di distinguere tra “programmi” applicabili solo all’attività economica pubblica e “controlli” applicabili all’attività privata. In questo modo, lo Stato avrebbe un ruolo più diretto nella gestione dell’economia pubblica, mentre l’attività privata sarebbe soggetta solo a controllo e coordinamento.
Interpretazione orientata al mercato sociale: suggerisce che i “fini sociali” debbano essere interpretati alla luce dell’attuale assetto economico europeo, che promuove la libera concorrenza e il mercato aperto. In questa prospettiva, l’intervento statale dovrebbe limitarsi a garantire che l’attività economica rispetti i principi della concorrenza e del libero mercato, mettendo al centro la persona umana.
Critiche e proposte di modifica
Nel contesto della crisi economica europea, l’articolo 41 è stato criticato da chi sostiene che i suoi limiti impediscono lo sviluppo di un’economia realmente liberista. Alcuni hanno proposto l’abrogazione del terzo comma per eliminare i riferimenti ai “fini sociali” e introdurre un principio di libertà economica assoluta, limitato solo da ciò che è espressamente proibito dalla legge.
Questa posizione ultraliberista è stata contestata perché difficilmente conciliabile con una Costituzione che mira a bilanciare la libertà individuale con il bene comune. Una libertà economica assoluta potrebbe portare a situazioni in cui gli interessi privati prevalgono sul benessere collettivo, generando disuguaglianze e potenziali abusi.
Conclusioni
L’articolo 41 rappresenta un punto di equilibrio tra la libertà di iniziativa economica e la necessità di orientare l’attività economica verso obiettivi sociali. I limiti posti nei commi successivi al primo servono a garantire che l’attività economica non danneggi la società e che contribuisca al progresso e al benessere collettivo.
La discussione sull’articolo 41 riflette le tensioni tra diverse visioni economiche e politiche: da un lato, l’esigenza di promuovere la libertà economica e la competitività; dall’altro, la necessità di garantire che l’economia serva gli interessi della società nel suo complesso.
In definitiva, l’articolo 41 rimane un pilastro fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, che richiede un’interpretazione attenta e bilanciata per adattarsi alle sfide economiche e sociali contemporanee. (http://Vetere.it)
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Francesco Saverio Vetere, nato a Cosenza il 26 aprile 1962, vive a Roma.
Avvocato patrocinante in Cassazione.
Dal novembre 1999 è Segretario Generale e Presidente della Giunta Esecutiva dell’USPI Unione Stampa Periodica Italiana, organismo nazionale di maggiore rappresentanza del comparto Editoria e Giornalismo.
Giornalista pubblicista.
Docente di Storia della Stampa Periodica, Università “Sapienza” di Roma.
Docente di Management dell’Editoria Periodica, Università “Sapienza” di Roma.
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