La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi è a un passo dalla vittoria delle prime elezioni libere in venticinque anni in Myanmar, si perché lo spoglio delle schede è ancora in corso e non sono stati annunciati i risultati finali. L’ampio margine dei risultati parziali non lascia dubbi sulla vittoria finale che vede il presidente uscente, Thein Sein, sconfitto sorprendentemente. Htay Ooo, stretto alleato del presidente Sein, si è detto sorpreso dell’entità della sconfitta subita nella sua circoscrizione – a Hinthada – nel delta della regione considerata la roccaforte del partito. Kyi ha dichiarato: “È troppo presto per parlare del risultato, ma credo che ne abbiate tutti un’idea”.
I primi risultati di queste storiche elezioni in Myanmar sono sotto la lente d’ingrandimento dei maggiori think thank mondiali, per il conteggio completo delle schede bisognerà attendere qualche settimana. Bisogna poi ricordare che la signora Suu Kyi ha sfidato e battuto il partito appoggiato dai generali, al potere dal 2011. L’immagine più bella è proprio quella che ha ritratto il premio Nobel per la Pace in una Yangon che ha visto grandi folle ai seggi. Qualora la Suu Kyi non dovesse avere i numeri per governare da sola bisognerà cercare un difficile accordo con le altre forze politiche, staremo a vedere.
Ad ogni modo il pericolo più grande è rappresentato dalla tensione tra l’attesa di democrazia e la “longa manus” che l’ex giunta continua a mantenere sulle strutture del potere economico e finanziario del paese del Sudest asiatico. Tipico esempio di quest’atteggiamento è quello della “giada”, pietra preziosa tanto cara alla cultura cinese, un settore che produce (secondo l’organizzazione non governativa Global Witness) entrate per 31 miliardi di dollari, ben oltre quanto ufficialmente dichiarato dalle autorità.
Dalle elezioni, come detto, non uscirà subito un governo, si preannunciano infatti mesi di trattative dato che le due Camere del Parlamento e l’esercito nomineranno – uno a testa – un tris di candidati per la carica di capo di stato. Il futuro presidente (che non potrà essere Suu Kyi, in quanto vedova e madre di cittadini stranieri) si sceglierà poi un governo, nel quale alcuni ministeri chiave – Difesa, Interni, Aree di confine – saranno comunque scelti dall’esercito. La probabile rivincita di Suu Kyi sui generali che l’hanno tenuta prigioniera in casa per 15 anni potrà quindi essere mitigata da un sistema concepito proprio per tenere a freno le sue ambizioni. Si vedrà, per adesso godiamoci questa bella vittoria democratica.