Donald Trump vince anche i caucus repubblicani nello Stato del Nevada e promette “In due mesi la nomination”. Terza vittoria consecutiva per il magnate americano per la corsa alla nomination repubblicana, “The Donald” convince così gli ultimi scettici e ottiene uno schiacciante 45% in uno Stato difficile come il Nevada. Sono poche ormai le speranze di raggiungere il candidato newyorchese che a novembre rappresenterà il Grand Old Party (Gop) nella sfida finale per la poltrona più ambita: presidente degli Stati Uniti d’America.
Abbiamo più volte scritto delle crepe all’interno del Partito repubblicano circa l’approvazione di un personaggio a molti scomodo. Il partito di Abraham Lincoln e di Dwight Eisenhower ma anche di Ronald Reagan e dei due George Bush non vede infatti punti di contatto con Donald Trump e si trova a dover gestire un futuro politico inquietante, in caso di vittoria del magnate ovviamente. Trump non rappresenta il classico conservatore repubblicano, come i suoi illustri predecessori, ma qualcosa di estremamente diverso e proprio la parola “estremo” è quella che forse più lo contraddistingue. Da sempre refrattario del liberalismo che la globalizzazione ha imposto alle politiche statunitensi Trump cavalca spesso la xenofobia e vorrebbe costruire un muro fisico (si avete letto bene) al confine con il Messico e uno virtuale per bloccare la Cina. Ma c’è di più “The Donald” fa discutere anche per le sue posizioni favorevoli all’aborto e si è detto per molti anni democratico (!), in passato ha finanziato infatti diversi candidati della sinistra tra cui i cugini Clinton.
Gli esperti di comunicazione americani hanno per mesi pensato che il personaggio così eccessivo ed estremo si potesse sgonfiare nel corso delle prime tornate elettorali, ma non è accaduto anzi la sua figura adesso troneggia laddove si credeva impensabile. Il Nevada, da questo punto di vista, ha scacciato via le ultime perplessità tra gli elettori repubblicani che adesso lo giubilano come il nuovo “messia”. Il “Supermartedì” (primo marzo) è vicino e probabilmente sarà decisivo poiché verranno assegnati quasi un terzo dei delegati e Trump potrebbe definitivamente blindare la propria candidatura. Si voterà però in anche in Texas dove Ted Cruz – senatore dello Stato – potrebbe dire la sua ma attenzioni ai sondaggi perché in Nevada, ad esempio, era favorito Marco Rubio che invece si è fermato al 24%.
Un altro dato sconcertante per i numerosi detrattori di Trump è che il caucus del Nevada è arrivato al termine di una settimana ricca di gaffe per il magnate, ha litigato con papa Francesco, ha elogiato Putin e Saddam Hussein e ha rilasciato dichiarazioni ambivalenti sulla riforma sanitaria di Obama. Affondato? Per nulla. I vertici del Partito repubblicani per questo, ma non solo, si ritengono preoccupati dalle continue uscite fuori luogo del loro candidato di spicco ma poi sarà il popolo sovrano a scegliere, Rubio avrà pure il favore dell’establishment politico di destra ma non sembra al momento poter scalfire lo strapotere mediatico di Trump. Insomma, sembra ormai troppo tardi per far sterzare le adesioni ma rimane la speranza del primo marzo con le primarie in Alabama, Alaska, Arkansas, Colorado, Georgia, Massachusetts, Minnesota, North Dakota, Oklahoma, Tennessee, Texas, Vermont, Virginia e Wyoming. Intanto i risultati parziali vedono Trump con 82 delegati, Ted Cruz con 17, Marco Rubio con 16 e fanalino di coda John Kasich con 6. Per il Partito democratico dei duellanti Clinton-Sanders (51 delegati a testa al momento) la prossima tappa è in South Carolina il 27 febbraio. Tutti pronti alla “marea Trump”?