Storico Obama-Fidel

Non più : Cuba si yankee no

Mai piu Fidel l’avrebbe immaginato l’incontro col presidente Usa. Il Comandante ne ha viste tante col suo barbone e la divisa da rivoluzionario dismessa solo per incontrare i Papi. Sempre in divisa e con la barba da rivoluzionario dalla prima impresa per cacciare il dittatore Batista, all’occupazione dell’Hilton hotel che non sarebbe mai più tornato nella disponibilità della multinazionale alberghiera. Ancora di più in occasione del respingimento in mare degli invasori cubani in esilio usati dalla Cia nella disastrosa impresa Usa nel tentativo di sbarco nella baia dei porci. Storia a se’ il terribile rischio di un conflitto nucleare nella tentata operazione, con l’Urss protagonista, per l’installazione di missili sovietici da puntare contro le coste americane. Fortunatamente i leaders dei due blocchi erano Kennedy e Kruscev cui si rivolse accorato papa Giovanni XXIII e alla fine le navi coi missili fecero dietro front e tornarono a casa. Noi eravamo giovani universitari, affascinati dalla rivoluzione castrista pronti ad unirci ai cori “Cuba si yankee no”. Si favoleggiava di una possibile esportazione del modello Fidel in altri paesi per abbattere le dittature dell’America Latina e dell’Africa. Operavano in effetti battaglioni di medici con attrezzature e personale provenienti da Cuba. Il sogno di esportare la rivoluzione fu perseguito dal solo Che Guevara, barbaramente ucciso sulle montagne della Bolivia con la complicità della Cia. Era questo il clima politico quando , del tutto inatteso ,mi raggiunse l’invito da parte dell’Icap, istituto cubano per l’amicizia tra i popoli, di partecipare alla festa nazionale del 26 di luglio, giorno dell’ingresso di Fidel all’Avana. All’inizio ho temuto uno scherzo goliardico. Nella sede romana dell’Icap, a due passi dall’ambasciata Usa di via Veneto, fui accolto con cordialità e simpatia dalla presidente Giuseppina Licausi che mi consegnò i documenti e il ticket per il volo Roma- Madrid-Avana. Ero sinceramente sorpreso ma l’emozione più grande l’ho provata qualche ora dopo prima dell’atterraggio durante l’avvicinamento all’aeroporto Jose’Marti’. La vista era straordinaria, mi pareva una rappresentazione del “paradiso terrestre”anche perché poco prima avevo lasciato il cielo buio del Canada, dopo lo scalo a Gander con freddo e pioggia. Il 26 luglio fu celebrato a Santa Clara, dopo una faticosa trasferta su un automezzo dell’esercito. Fidel parlo’ almeno 6 ore trattando dello stato del mondo e denunciando di continuo il ricatto Usa e il blocco economico. Erano presenti ambasciatori di quasi tutti i paesi protetti da coloriti copricapo sotto un sole caraibico. Conobbi il nunzio vaticano monsignor Zacchi trasferito a Cuba da Belgrado per decisione di Paolo VI. Mi aiutò a comprendere perché la Santa Sede curasse con attenzione le relazioni con Cuba. Ragioni religiose, per una comunità ecclesiale radicata su tutta l’isola e possibile ponte per l’America Latina tutta e addirittura verso la Cina in considerazione di una numerosa comunità cinese, emigrata nell’isola per sostituire lavoratori neri non più disponibili alla dura fatica del taglio della canna da zucchero, ben prima della dittatura di Batista. Anche Fidel ha sempre dato importanza ai rapporti col Vaticano e alla stessa chiesa cubana. Basta riflettere sulla fondamentale mediazione di papa Francesco negli ultimi positivi sviluppi  dei nuovi rapporti tra Usa e Cuba. Preceduti del resto da un lungo percorso contrassegnato dalle visite di Giovanni Paolo II . E fino alla recente scelta di Cuba per l’incontro storico del patriarca moscovita Cirillo con papa Francesco in viaggio per il Messico. Tutto questo percorso non privo di momenti di incomprensione e di travaglio ha man mano portato frutto con maggiori aperture per la libertà religiosa e di culto che dovrà con ben maggiore forza e urgenza riguardare le libertà civili, il pluralismo politico e sindacale . La questione più seria riguarda la liberazione dei numerosi prigionieri politici da anni nelle carceri cubane e a favore dei quali ogni domenica , specie all’uscita dalla messa, donne interamente vestite di bianco e mute esprimono con dignità il diritto ed il desiderio di vedere i propri cari tornare a casa. E’forse il tema più spinoso per il presidente Usa che può avere in serbo qualche proposta da sottoporre al governo di Raoul Castro. Fin dagli anni universitari Obama desiderava poter visitare Cuba. Gli è toccato in sorte farlo da presidente del più grande paese del mondo in rottura con l’isola caraibica da oltre 60 anni. Cade così l’ultimo simbolo della guerra fredda che i più giovani neppure ricordano. Il presidente Obama ha definito questo viaggio straordinario e storico. Come non riconoscerlo mentre già imprenditori Usa, specie nel campo del turismo e delle costruzioni ,sono in piena attività per concludere affari nell’interesse reciproco. 

(21 marzo 2016)

da www.aje.it

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