Europa spaccata sull’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti

Senza un’intesa entro la fine del mandato Obama probabile slittamento al 2020.

Il Trattato di libero scambio tra l’Unione europea e gli Stati Uniti rischia di impantanarsi, senza un’intesa tra gli attori principali, infatti, è destinato a slittare al 2020, la presidenza Obama è in scadenza e il tempo “stringe”. Inoltre i due candidati principali per la corsa alla Casa Bianca, Clinton e Trump, non lo hanno menzionato nel corso della loro lunga campagna elettorale, il prossimo anno ci saranno le elezioni in Francia e poi seguiranno quelle in Germania e in Italia nel 2019, la Commissione europea andrà in scadenza.

Le cancellerie europee sanno che un piano di tale importanza non potrà quindi essere firmato di fronte a scadenze così, idem la Casa Bianca. Alla vigila del tredicesimo round di negoziati le parti, dunque, sono ancora lontanissime, si tratta di uno dei unti più controversi del trattato che riguarda l’agricoltura e la protezione della denominazione d’origine, un tema molto sentito da Italia, Francia e Spagna, meno dai Paesi del Nord. Il trattato globale fa paura al mondo e Obama questo lo ha capito, un Ttip più leggero potrebbe convincere la Merkel ma Holland ha recentemente dichiarato: “Abbiamo posto le nostre condizioni e vogliamo che siano rispettate”.

Condizioni che ricalcano quelle italiane: reciprocità, trasparenza, sicurezza alimentare, libero accesso al mercato pubblico. Il trattato si basa su tre pilastri: l’accesso ai mercati; la cooperazione regolamentare e le regole globali. E ognuno dei tre ha i suoi tempi. L’ultimo è forse quello meno difficile da digerire, Stati Uniti ed Europa hanno infatti una visione comune della governance globale e hanno l’interesse a formare un impianto di regole da condividere prima che lo faccia la Cina. Il secondo fronte è quello della regolamentazione e della definizione dello standard dei prodotti. L’intesa politica su questo fronte è praticamente totale. La volontà è di garantire il livello più alto su entrambe le sponde dell’Atlantico: in questo senso, quindi, la difficoltà è puramente tecnica.

Insomma, una questione di pazienza: gli sherpa devono mettersi a tavolino per scrivere tutti i dettagli, dalla dimensione degli specchietti per le auto alle cinture di sicurezza. Una lavoro mastodontico, ma che non dovrebbe presentare incognite. Il vero scoglio riguarda per cui l’accesso ai mercati, sulle tariffe è stato raggiunto un accordo per la liberalizzazione del 97% dei prodotti, lo stesso è accaduto per i servizi, ma il problema riguarderebbe gli appalti pubblici e l’agricoltura. Gli americani – in un’ottica di piena reciprocità – non hanno problemi a riconoscere il libero accesso alle loro gare, ma non hanno intenzione di derogare alla legge “buy american”: in sostanza chiunque può aggiudicarsi un appalto, ma il 50% dei prodotti utilizzati per i lavori deve essere americano.

Come a dire che un’impresa europea per costruire un ponte americano dovrebbe utilizzare solo cemento “Made in Usa”. Condizione quest’ultima inaccettabile per Bruxelles perché discriminerebbe i prodotti europei, non creerebbe lavoro in Europa e non foraggerebbe il PIL. A chi gioverebbe? Solo alle multinazionali. L’obiettivo dei negoziatori è quindi quello di arrivare ad un testo condiviso per metà luglio, le speranze di trovare un accordo prima della fine del mandato presidenziale di Obama non sono vane, ma il tempo stringe.

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