Hillary Clinton vince all’ultimo metro la corsa in Kentucky contro Bernie Sanders, che però si rifà con gli interessi in Oregon. Ma il dato
politico prodotto dalle primarie democratiche di ieri negli Stati Uniti è un altro: la contestazione potrebbe traslocare dalla sponda repubblicana a quella democratica alla convention che si annuncia, quindi, bollente. Le due primarie di ieri hanno infatti confermato che Sanders è ancora in gara, la speranza per il senatore del Vermont non è così illusoria. Oregon a Sanders ma anche a Trump, per le primarie repubblicane, a cui mancano solo 100 delegati per raggiungere la quota necessaria alla nomination prima della convention di luglio. Il caos brogli è poi arrivato dal Nevada, circa tre mesi dopo le primarie dem, dove i rappresentanti di
Sanders per ricoprire il ruolo di delegati alla convention hanno denunciato irregolarità. La tensione in campo democratico, nei fatti, è alle stelle, dal team di Sanders sono partite aggressioni verbali forti sfociate in minacce fisiche contro il boss locale del partito – una donna – e i suoi familiari. Immediata la reazione del team della Clinton che hanno chiesto a Sanders – via social – di dissociarsi dall’accaduto.
Una coda velenosa che rischia di oscurare – in parte – il gran lavoro fatto dai due candidati democratici in questi mesi, lavoro quasi sempre dinamico e ammantato di quella “sacra” trasparenza che ogni buon politico dovrebbe legittimare. I democratici, in questa fase, dovrebbero riunire e compattare la base per far convergere il massimo dei consensi sul candidato vincente, invece no e la tempesta politica sembra in arrivo. Al contrario in campo repubblicano il GOP pare si sia compattato intorno alla figura di Trump che anche ieri non ha perso tempo per una delle sue “sparate”, vuole incontrare Kim Jong-un. Ma il dittatore nordcoreano vuole incontrare Trump?