Dagli Stati di Washington e Minnesota si è elevato forte e deciso il segno di protesta e rigetto del bando emanato il 27 gennaio scorso dal presidente Trump che vieta l’ingresso negli Stati Uniti alle persone provenienti dai paesi a maggioranza musulmana: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen. A intentare la causa contro il divieto, a questi due stati nelle ultime ore, se ne sono aggiunti altri 16, tra cui quelli di New York e della California, che hanno presentato un documento contro il bando. Donald Trump risponde in modo perentorio sostenendo che dall’ordine esecutivo emanato il 25 gennaio scorso,dipende la sicurezza nazionale, così la sua amministrazione ha motivato la richiesta presentata ai giudici della Corte federale d’appello di San Francisco. In rivolta anche le aziende della Silicon Valley. In 97 hanno firmato una dura memoria sul provvedimento, da Facebook ad Apple Google Microsoft e Twitter hanno deciso di sfidare il presidente Trump davanti ai giudici della Corte federale che si pronunceranno sulla legittimità costituzionale del contestatissimo decreto e decidere se cancellarlo o no. Per stasera è prevista un’udienza durante la quale i giudici federali ascolteranno i legali del Dipartimento di giustizia, che hanno presentato una memoria difensiva del provvedimento, e quelli degli stati di Washington e Minnesota, che stanno agendo legalmente contro il decreto di divieto. Spetterà dunque alla Corte d’appello decidere in particolare se il presidente Trump ha superato i confini delle proprie competenze, eccedendo nella sua autorità con l’emanazione di un provvedimento anticostituzionale. Secondo gli avvocati del dipartimento di Giustizia – “il decreto è legale e rientra nell’esercizio dei poteri concessi al presidente per quel che riguarda sia l’ingresso di stranieri negli Usa sia l’ammissione dei rifugiati”. Inoltre – si legge nella memoria difensiva – è “sbagliato” dire che il provvedimento prende di mira i musulmani. Si tratta invece di un decreto volto a proteggere i cittadini americani da possibili minacce. La decisione della Corte potrà essere impugnata dalle parti davanti alla Corte Suprema. Potrebbe però verificarsi il rischio di uno stallo, non avendo ancora il Congresso confermato la nomina del nono giudice costituzionale fatta da Trump. Potrebbe capitare dunque che la sentenza della Corte d’Appello resterebbe in vigore in attesa che si sciolga il nodo della nomina.