Il quartiere di al-Zuhur sorge al margine occidentale di Tikrit, su un’area utilizzata da sempre come discarica. La striscia di terra tra il quartiere e l’autostrada è ora un campo minato: gli ordigni sono stati piazzati dall’ISIS quando la battaglia per la riconquista di Tikrit da parte delle forze di Baghdad era alle porte. Le mine e gli ordigni continuano ad esplodere: a volte al passaggio di pecore e altri animali, altre al passaggio di persone, anche bambini.
Il megafono nelle mani di un operatore di INTERSOS scandisce uno ad uno i nomi di chi è stato registrato per la distribuzione dei pacchi contenenti giocattoli per bambini. Le famiglie che abitano qui sono più di 1300 e le condizioni in cui vivono sono misere: case fatte di mattoni di fango e abitazioni semi distrutte, strade di terra, aree coperte di rifiuti, tralicci dell’elettricità divelti.
Mentre la battaglia per la riconquista di Mosul da parte delle forze irachene si intensifica e le truppe hanno rilanciato l’offensiva al di là del Tigri, nei quartieri occidentali della città, il flusso di persone in fuga aumenta. Le Nazioni Unite in Iraq contano oltre 10 milioni di persone in stato di bisogno e oltre tre milioni di sfollati nel Paese, molti dei quali hanno perso tutto. È questa la storia di molte delle persone che vivono nel quartiere di al-Zuhur e in altre località in e attorno a Tikrit.
Nel governatorato di Salah al-Din, il cui capoluogo è proprio Tikrit, gli sfollati sono 332mila: chi vive in tende e ripari di fortuna, chi ha occupato case semi-distrutte a causa degli scontri tra miliziani dello Stato Islamico e forze irachene, chi è accolto in campi profughi.
Ad aver bisogno di assistenza, però, non sono solamente le persone in fuga. Anche coloro che cercano di tornare ai propri villaggi di origine in aree liberate devono infatti fare i conti con difficoltà estreme e solamente nel distretto di Tikrit sono più di 171mila gli individui che, dopo essere scappati tra il 2014 e il 2015, stanno facendo ritorno. Alcuni dei nomi scanditi dal megafono sono di persone che, tornate nella loro Tikrit, non hanno trovato più nulla. O di persone che stanno tentando di tornare, ma la loro area di origine non è ancora sicura.
I primi momenti della distribuzione sono difficili: l’impazienza è palpabile, ma dopo aver assicurato che tutte le famiglie avrebbero ricevuto uno scatolone e che tutti i nomi sarebbero stati chiamati, la calma è tornata e la distribuzione è proseguita senza problemi.
Muhammad (nome di fantasia – ndr) è di Beiji, una città ormai in rovina a nord di Tikrit. I combattimenti in quelle aree proseguono e la sua vita ora è ad al-Zuhur. La casa che ha occupato e in cui vive con la sua famiglia è semi distrutta. Quando il suo nome è scandito dall’operatore all’entrata dell’area allestita per la distribuzione.
Muhammad si dirige all’entrata tenendo per mano sua figlia, una bambina di circa 6 anni. Si avvicinano al banco della registrazione, e al momento della firma come prova di ricezione del pacco, il padre prende tra le braccia la bambina, la avvicina al tavolo e lascia che sia lei ad apporre un segno vicino al nome della famiglia: il pacco, con colori, quaderni e giochi, è soprattutto per lei. Il sorriso emozionato di quella bambina quel giorno si è ripetuto per altre 1.257 volte. E nei giorni successivi, in altri luoghi, altri bambini e altre famiglie hanno ricevuto assistenza materiale da parte di INTERSOS, per un totale di circa 5.000 pacchi distribuiti nel mese di febbraio.
I numeri di sfollati e di ritorni è destinato a crescere soprattutto nei governatorati di Salah al-Din e Ninive: in queste aree, infatti, le operazioni militari per riconquistare le aree controllate da ISIS sono iniziate nel 2015, ma non sono ancora finite: se l’area urbana di Tikrit è ormai sicura, vaste regioni e importanti centri abitati restano un fronte aperto e rappresentano dei punti critici per quel che riguarda le operazioni militari e le emergenze umanitarie che ne seguiranno ad Hawija, Shirqat, Mosul ovest.
Mustfà, uno degli operatori di INTERSOS chiude la giornata stanco, ma con il sorriso. “Amo questo lavoro” esclama smontando la tenda e caricando il materiale rimasto sui camion, prima di uscire da al-Zuhur.