La guerra delle statue infiamma l’America

A New York, e in altre città statunitensi, decapitate busti e statue di Colombo, L.A. abolisce il Columbus Day

Simboli e storia di un Paese “giovane”, rispetto alla “vecchia” Europa, gli Stati Uniti dell’Era Trump vivono ora più che mai di contraddizioni uniche, a tratti da lasciare a sbigottiti quanti pensavano di conoscere vizi e virtù della prima potenza mondiale. Da New York a Detroit, da Baltimora a Lancaster, da Los Angeles a Yonkers, dalla stessa Columbus a San Jose si abbattono i busti, le statue, i volti e il passato di un America che nel corso dei secoli ha ricordato nel Columbus Day la sua storia. Insomma, la festa nazionale sarà sostituita da una celebrazione dei nativi americani, giusto. Ma fino a che punto? Questa la domanda che sta scatenando l’opinione pubblica statunitense che, oltre ai grattacapi nordcoreani e la violenza distruttiva di Harvey, si sta interrogando in queste ore sulla possibilità di abolire o meno il Columbus Day. Los Angeles lo ha già fatto. Il “giorno di Colombo” è stato celebrato per la prima volta da italiani a San Francisco nel 1869, seguendo le celebrazioni italiane di New York. Ma è solo nel 1937, caldeggiato dall’associazione cattolica dei Cavalieri di Colombo, che il presidente Franklin Delano Roosevelt stabilisce che il Columbus Day diventasse festa nazionale in tutti gli Stati Uniti d’America. Chiaro come siano gli italoamericani sentano molto questa ricorrenza che si celebra il 12 ottobre (giorno della scoperta dell’America nell’anno 1492) e l’Empire State Building da anni si colora di tricolore. Gli americani di oggi hanno deciso di prendersela con le statue, per abbattere il ricordo dei generali confederati, del Sud, schiavisti e della Guerra di secessione. Dopo i recenti scontri di Charlottesville in cui hanno perso la vita tre persone, il movimento contro il suprematismo bianco, improvvisamente si è esteso, non solo confederati, adesso mira ai “simboli d’odio e di divisione razziale” e vuole staccare teste. È toccato a Italo Balbo a Chicago, ora è il turno di Colombo che l’America l’ha scoperta nel 1492. A New York il sindaco Bill De Blasio ha inserito il monumento a Colombo, uno dei simboli della città in Columbus Circle nell’elenco dei monumenti da abbattere: è discriminatorio, dice. Ha nominato una commissione, e le ha dato 90 giorni di tempo per esaminare monumenti in città che potrebbero istigare all’odio, alla divisione o al razzismo e all’antisemitismo. A Los Angeles, dicevamo, la festa è stata cancellata. La sostituirà la “Indigenous and Native People Day”. La festa delle popolazioni indigene, aborigene e native, “vittime del genocidio”. Perché Colombo è visto come un colonizzatore imperialista, sterminatore di popoli pacifici dei Caraibi e delle Americhe. La festa degli indiani quindi, di chi era già lì quando Colombo buttò l’ancora, e che non vide mai perché arrivò a San Salvador, tra le palme di quelle che oggi chiamiamo Bahamas. E l’Italia che ne pensa? La Farnesina ha dichiarato: “Cristoforo Colombo rappresenta in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti, un simbolo fondamentale della storia e dei successi italiani. La scoperta dell’America resta in ogni caso patrimonio dell’umanità nonostante ogni dibattito volto a voler rileggere oggi eventi di tale grandezza”. Il ministero degli Esteri italiano segue da tempo il “delicato dibattito sul Columbus Day. Sappiamo infatti quanto la celebrazione della ricorrenza stia a cuore alle nostre collettività residenti in quel Paese. Solo alcune municipalità – come Los Angeles, Seattle, Denver e Albuquerque – si sono per ora espresse per la sostituzione della giornata”. Roba da “Era Trump”.

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