Le forze armate della Repubblica Araba di Siria agli ordini di Bashar al-Assad presidente dal 2000 e rappresentante principe del Partito Ba’th Socialista Arabo, non danno tregua a Ghouta Est. L’esercito bombarda questo territorio da ormai cinque anni, nelle ultime ore si sono registrati circa 16 morti tra i civili, ed ha bloccato gran parte dei convogli umanitari facenti capo all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) carichi di medicinali destinati alla popolazione stremata. Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), United Nations Human RightsCouncil, ha intanto approvato una risoluzione che chiede l’apertura di un’inchiesta sull’assedio all’enclave ribelle, oggetto da quasi un mese di una pesante offensiva che dal 18 febbraio ha causato la morte di almeno 709 civili. Tanti, troppi.
Un inferno senza fine per la popolazione civile siriana costretta in una morsa di difficile risoluzione politica e umanitaria. L’ultima scellerata azione dell’esercito di Assad avrebbe portato alla morte di altri 16 civili, tra cui 4 bambini uccisi dalla pioggia di bombe condotte dalle forze fedeli al presidente siriano e dai loro alleati. La fonte attendibile è ancora una volta quella dei Caschi bianchi – uomini e donne della Siryan CivilDefence, un’organizzazione fondata nel 2013 per aiutare le vittime del conflitto siriano.La difesa civile siriana è nata nel 2013 per iniziativa dell’ex militare britannico James Le Mesurier, fondatore della ONG Mayday Rescue. Dal 2013 la difesa civile siriana invia i suoi volontari in Turchia, dove vengono addestrati con l’assistenza della ONG turca Akut a cercare tra le macerie, a estrarre i superstiti e al primo soccorso.
L’assedio, quindi, continua a impedire anche alle organizzazioni umanitarie internazionali di poter assistere i feriti e fornire beni di sopravvivenza alla popolazione. Il primo convoglio formato da 46 camion è stato bloccato ieri dal regime che ha «sottratto i kit di primo soccorso, l’occorrente per gli interventi chirurgici e per la dialisi e l’insulina». Il convoglio umanitario delle Nazioni Unite che si è diretto verso Wafidin, il campo profughi nei pressi del corridoio umanitario alle porte della Ghouta dove si trova un checkpoint del regime, è stato autorizzato a entrare, ma secondo il responsabile dell’Oms «il 70 per cento dei rifornimenti caricati sui camion sono stati bloccati durante la perquisizione» a cui i convogli vengono normalmente sottoposti dalle forze governative. Un disastro per la già martoriata popolazione civile. Un disastro cui un giorno qualcuno pagherà.
La guerra civile siriana continua a non trovare una soluzione, ricordiamo le tappe principali: inizio della rivolta contro il governo siriano (gennaio-marzo 2011), la successiva diffusione attraverso anche i social network (aprile-maggio 2011) porterà all’inizio della lotta armata tra l’opposizione siriana e il governo di Assad (giugno-ottobre2011) e allo scoppio della guerra civile – sebbene non sia stata universalmente così riconosciuta a livello internazionale – l’assedio di Homs, anche a causa della sua durata, provoca infatti i primi chiari scontri settari tra civili, prevalentemente musulmani sunniti e alawiti.
Tra l’aprile e il giugno del 2012 abbiamo le uccisioni dei civili, l’avanzata dei ribelli in molte aree del paese estremizza la reazione del governo; vengono utilizzati elicotteri d’attacco nei centri abitatie nelle città i soldati governativi impiegano negli assalti sempre più spesso le milizie shabiha: siriani di religione alawita. Le battaglie di Damasco e Aleppo e il fronte curdo (luglio 2012 – agosto 2012)vedranno poile forze ribelli continuare a mantenere l’iniziativa scatenando la più imponente offensiva contro il governo siriano tentata finora, sul finire dell’anno l’avanzata dei ribelli diffonde illusioni tra gli oppositori di Assad e il fondamentalismo islamico prende il sopravvento nell’area (gennaio 2013 – marzo 2013) i gruppi estremisti cominciano ad acquisire sempre maggiore autonomia sul campo. Ad aprile 2013 la guerra civile siriana vede il costante avanzamento dei ribelli in tutte le regioni del paese, mentre il governo riesce a mantenere il controllo sulle principali città, esclusa Aleppo che controlla solo parzialmente. Indicativamente i ribelli controllano circa il 60% del territorio. Successivamente la rottura del fronte ribelle nell’estate del 2013 e il mancato intervento USA contro Assad (settembre) porteranno alla ripresa dell’offensiva di regime fino a dicembre.
Il 2014 si apre con la conferenza di pace di Ginevra, ribattezzata “Ginevra 2”, indetta dall’ONU in collaborazione con Russia e Stati Uniti per tentare di trovare una soluzione politica alla crisi; dopo varie incertezze il 14 febbraio i negoziati a Ginevra si chiudono senza nessun accordo politico tra le due delegazioni e l’inviato speciale dell’ONU, LakhdarBrahimi, annuncia il fallimento “scusandosi con il popolo siriano”. A metà febbraio l’esercito governativo riprende l’avanzata nella regione del Qalamun con l’intento di controllare completamente il confine libanese. Seguono la proclamazione del califfato da parte dell’ISIS (giugno 2014 – agosto 2014), l’intervento internazionale contro l’ISIS (settembre 2014 – gennaio 2015) a guida statunitense: operazione InherentResolve. Quanto risolverà? Poco e nulla.
Il 2015, ad ogni modo, si aprirà con le forze governative di Assadin difficoltà (febbraio 2015 – maggio 2015) e nell’estate la grande avanzata curda nel nord (giugno 2015 – settembre 2015) segnerà un altro importante passaggio di questa logorante guerra. L’intervento russo (ottobre 2015 – gennaio 2016) occuperà l’agenda internazionale legata alla Siria negli ultimi mesi del 2015: il 30 settembre 2015, poco dopo l’autorizzazione della Duma e dopo aver informato il governo americano, gli aerei russi eseguono i primi raid in territorio siriano.
L’escalation ad Aleppo e la tregua (febbraio 2016) vedranno poi l’arretramento dello Stato Islamico (marzo – luglio 2016), l’assedio di Aleppo e l’intervento turco (luglio – dicembre 2016) e una nuova tregua e l’intensificazione degli scontri tra esercito e ISIS (gennaio-giugno 2017): le battaglie di Raqqa, DeirEzzor e la fine dello Stato Islamico occuperanno la seconda parte del 2017. Ancora sangue, ancora morti tra i civili. Fino ad arrivare ad oggi con la riapertura del fronte contro i ribelli e il nuovo intervento turco, dal gennaio 2018.
I dati del disastro umanitario:
L’ONU ha pubblicato (agosto 2014) uno studio che documenta l’uccisione di 191.369 persone nel conflitto da marzo 2011 a fine aprile 2014: di queste, almeno 8.803 sono minori di 18 anni. Lo studio non riporta le percentuali di combattenti e di civili tra le vittime.
L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR), organizzazione non governativa con sede a Londra, ha verificato 301.781 morti tra marzo 2011 e settembre 2016, di cui civili (86.692), includendo anche le morti non documentate lo stesso organismo stima un totale di 430.000 morti.
Infine i rifugiati, secondo i dati dell’UNHCR (aggiornati al 29 agosto 2015) sarebbero 4.088.078 (quasi quanto la popolazione dell’intera Irlanda), molti dei quali all’interno di Libano e Turchia. A questi si aggiungono inoltre circa 7,8 milioni di siriani sfollati all’interno del paese.