Se gli osservatori del fenomeno Brexit hanno pensato che peggio di così non potesse andare, di certo hanno dovuto ricredersi quando ieri sette deputati laburisti hanno annunciato la loro decisione di uscire da quella che è la maggior forza di opposizione del paese.
Il motivo è riconducibile ha un totale dissenso nei confronti della linea adottata dal leader Jeremy Corbyn, rimproverato di non avere una posizione chiara nei confronti della Brexit, ma soprattutto di aver fatto prendere al partito una deriva troppo estremista, dimenticando i valori fondanti che lo hanno costituito.
I deputati hanno deciso di restare all’interno del Parlamento formando un gruppo indipendente e hanno invitato colleghi scontenti, sia conservatori che labour, a fare lo stesso e a unirsi a loro per creare un nuovo movimento moderato.
Fra i protagonisti del dissenso il nome che spicca di più è quello di Chuka Umunna, uno fra i maggiori sostenitori di un secondo referendum per la Brexit. Intervistato da Good Morning Britain ha affermato che gli attuali partiti politici rispondono a logiche antiquate e non rispecchiano più le esigenze dei cittadini. “Serve un’alternativa. Noi abbiamo deciso di lasciarci la vecchia politica alle spalle e invitiamo altri a fare altrettanto”, ha concluso.
Ogni deputato ha espresso con chiarezza le proprie motivazioni, che si rifanno comunque a una mala gestione della questione Brexit e alla perdita dei valori moderati per una direzione che vira smaccatamente a sinistra. Hanno fatto molto discutere anche le accuse di un’altra deputata uscente, Luciana Berger, che ha affermato di essere stata vittima di attacchi antisemiti da parte dei sostenitori di Corbyn e che il partito è ormai “istituzionalmente razzista”.
Corbyn ha rilasciato solo pacate dichiarazioni in cui si dice dispiaciuto della scelta presa dai dissidenti, mentre il suo cancelliere John McDonnell si è esposto maggiormente, asserendo che i sette deputati uscenti dovrebbero fare la cosa giusta e lasciare il Parlamento, essendo stati eletti all’interno di un partito di cui hanno deciso di non fare più parte.
Fino a oggi abbiamo assistito ai problemi interni alla coalizione di maggioranza, a una Theresa May sempre più in difficoltà, osteggiata e criticata dai suoi stessi “commilitoni”. Ma è evidente che la Brexit è stata un vero e proprio terremoto che non ha risparmiato nessuno all’interno della vecchia classe dirigente inglese. Difficile dire quali scenari si apriranno adesso.
Domani la premier inglese tornerà a Bruxelles per incontrare il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker e provare a strappare quelle concessioni che le darebbero l’opportunità di veder approvata la Brexit in Parlamento. Ma a oggi l’Unione Europea non si è mostrata disposta a negoziare e se qualcosa non cambia è molto probabile che il 29 marzo il Regno Unito esca dall’Unione senza alcun accordo.