Parigi, ottobre 2020 – Samuel Paty , 47 anni, padre di due bambini, era un insegnante di storia e geografia alla Scuola media di Conflans-Sainte-Honorine, nel nord di Parigi;
Venerdì 16 ottobre, con un gesto premeditato e preparato su istigazione di alcuni adulti, è stato ucciso in modo orribile, decapitato, da un suo allievo perché aveva mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo sul grande profeta Maometto.
Non è assurdo che al giorno d’oggi una persona, in Francia o in un altro Paese europeo, possa morire per la libertà? Si chiede Pietro Polito e se lo chiedono tutti gli uomini ben pensanti.
Nell’era del Covid, sotto l’ombra nera del contagio che miete innumerevoli vittime, si può morire anche per la Libertà di opinione e di stampa.
Il Presidente Macron ha commentato a caldo quest’orrendo assassinio, dicendo che l’insegnante è stato ucciso “perché insegnava la libertà di credere e non credere”.
Paty, che amava il suo mestiere, inteso come professione perché “credeva a quel che faceva”, ha avuto il “il coraggio di insegnare la libertà”.
Nello svolgimento della sua azione didattica, come ha scritto Michela Marzano su “La Stampa” Samuel si è posta la domanda: “E adesso che faccio con i miei studenti, quando arrivo al capitolo libertà d’espressione? Dico loro che è un cardine delle nostre democrazie liberali, e che quindi non la si può né sopprimere né restringere – a meno che non ci si trovi di fronte all’incitamento all’odio, all’apologia dei crimini contro l’umanità o alla diffamazione – oppure taccio per non mettermi in pericolo?”[1].
Come recita l’art. 33 della nostra Costituzione: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», la libertà di insegnamento e di espressione è riconosciuta e garantita quale diritto individuale ed è anche un dovere pubblico dell’insegnante-educatore che insegna a pensare e non si limita a trasmettere il “già pensato”.
La libertà d’insegnamento è la migliore garanzia della neutralità dell’insegnamento e in democrazia non può essere delegata né può essere indirizzata da indicazioni governative, siano esse politiche o religiose. Ha un legame stretto con la finalità educativa della scuola che è, appunto, la ricerca del miglior bene dello studente, la sua crescita e la formazione integrale come persona, uomo e cittadino.
La corresponsabilità educativa con i genitori, primari responsabili dell’educazione dei figli, non va intesa come limite alla libertà d’insegnamento, ma come costante ricerca di convergenza verso i comuni ideali e le condivise finalità della piena realizzazione del progetto di vita di tutti e di ciascuno.
La cattedra non è il pulpito dei sacerdoti laici, né la tribuna dei comizi e la scuola non è il luogo della propaganda politica o religiosa. L’insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole italiane, regolamentato dai Patti Lateranensi e dai Concordati e dalle Intese , risponde al dovere di “educere” la dimensione religiosa di cui ogni essere umano è portatore, così come attraverso l’insegnamento delle discipline si “tirano fuori ” le diverse dimensioni: storica, geografica, artistica, musicale, fisica, logica e linguistica presenti nelle potenzialità dell’alunno che “a scuola cresce, diventa uomo, apre i suoi occhi al vero e scopre la dimensione dei Valori”.
Di fronte al corpo straziato di Samuel Paty, abbandonato a se stesso, mostrato decapitato senza ritegno, né rispetto nei telegiornali di massima visibilità agli occhi morbosi di una presunta opinione pubblica, non si può restare in differenti e la risposta l’ha data quell’affollatissima piazza di Parigi con i mille cartelli parlanti Je suis Samuel
Ammirando il coraggio di Samuel, viene in mente il famoso adagio manzoniano: “Uno il coraggio, se non ce l’ha, non se lo può dare”. Di fronte alla prepotenza dei bravi e del loro padrone, don Abbondio si mette in pace con il mondo e con la propria coscienza, Samuel, invece, non ha seguito la filosofia di don Abbondio, ha insegnato la libertà ed ha tramesso a tutto il mondo una lezione di coraggio, premiata con la massima onorificenza francese della Legion d’Onore.
Oggi anche noi tutti, docenti, genitori, adulti siamo educatori e possiamo dire Je suis en enseignant – Siamo tutti insegnanti, Lo si dice con convinzione, con il cuore, non solo con le parole, ma con la testimonianza della vita.