Il Parlamento moldavo ha votato, nel novembre del 2019, una mozione di sfiducia contro il governo del primo ministro filoeuropeo Maïa Sandu, in carica da giugno. Contro il governo, che ha fatto della lotta alla corruzione la sua priorità, hanno votato il Presidente moldavo Igor Dodon, il Partito Socialista pro-russo e il Partito Democratico fondato dall’oligarca esiliato Vladimir Plahotniuc.
Maïa Sandu è salita al potere dopo la formazione di una nuova
coalizione tra filorussi e filoccidentali, sostenuta da Mosca e dalla
stessa Europa.
L’obiettivo dichiarato di quella alleanza era quello di togliere di
mezzo Vladimir Plahotniuc, figura controversa, accusato per anni di
essere una “Eminenza Grigia” della Moldova.
Vladimir Plahotniuc, ex presidente del Partito democratico della Moldova, è fuggito all’estero l’anno scorso, dopo che un’inedita alleanza tra i filorussi del Partito Socialista e gli europeisti della coalizione Acum diede vita a un nuovo governo facendo cadere l’esecutivo di Pavel Filip, vicino a Plahotniuc. La procura generale della Moldavia accusa l’oligarca Vladimir Plahotniuc, fino all’anno scorso considerato il personaggio più potente del Paese, di essere coinvolto «nel furto di un miliardo di dollari dal sistema bancario moldavo» nel 2014-2015.
Diverse centinaia di sostenitori di Maia Sandu si sono riuniti dopo il voto davanti al Parlamento, gridando slogan come “Siamo il popolo” e “Non ci arrenderemo” o brandendo manifesti che chiedono la nomina di un Procuratore indipendente.
L’ormai ex primo ministro è intervenuto brevemente davanti ai manifestanti, assicurando di essere pronta a “combattere fino alla fine”.
Nel frattempo in Parlamento, Maia Sandu ha dichiarato: “È chiaro che la lotta è tra coloro che vogliono controllare la giustizia e le procure, per arricchirsi e mantenere la Moldova in povertà e coloro che lottano per le istituzioni, per una giustizia indipendente e corretta che sarebbe la base per la crescita economica, gli investimenti e la creazione di una società libera e prospera”.
ln un contesto fortemente segnato dall’epidemia di Covid-19, e dal rischio di brogli, la Moldavia si prepara ad andare al voto il Primo novembre per le elezioni presidenziali.
Otto i candidati per la poltrona, con due super favoriti: l’attuale Presidente, il socialista Igor Dodon, considerato un politico pro-Mosca, e la leader del Partito Azione e Solidarietà, Maia Sandu, ex primo ministro filoeuropeista. Secondo gli ultimi sondaggi Dodon finora avrebbe il 32,5% dei consensi contro il 18,4 della Sandu. Seguono Andrei N?stase con il 9,4%, Renato Usatii con il 6,5%, Violeta Ivanov al 4,9%, Octavian ?îcu all’1,6%, Tudor Deliu all’1,3% e Dorin Chirtoac? all’1, 2%. Secondo le previsioni nessuno dei due candidati principali avrebbe la maggioranza assoluta già al primo turno, portando il Paese al ballottaggio il 15 novembre.
“La Moldavia è a un bivio, o diventa uno stato con una leadership competente oppure il paese fallisce”, ha sottolineato la Sandu. “Uno stato funzionale significa prima di tutto uno stato che lotta contro la corruzione, la povertà e che incoraggia le imprese. Abbiamo bisogno di un presidente che difenda gli interessi nazionali pur mantenendo legami con gli altri Stati, anche con Mosca.”
Sembra che il rischio di brogli sia alto: “Il Presidente uscente Dodon sta cercando di truccare le elezioni. Noi gli abbiamo inviato dei segnali forti. Nel caso non li avesse ascoltati, allora la gente scenderà in piazza, Perché questo è quello che dicono le persone”, ha poi aggiunto la Sandu, in vari interventi pubblici.
Mancano ormai pochi giorni alle elezioni, e tutto ancora sembra poco trasparente, vedremo il risultato elettorale, per capire come il paese si prepara al futuro.
La Moldavia confina con l’Unione Europea, e consta di 3.3 milioni di persone, da sempre è divisa tra coloro che simpatizzano con Mosca e coloro che simpatizzano con l’Europa.
Nel settembre 1990, la Transnistria ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza senza riscontrare alcun riconoscimento sul piano internazionale da parte dei membri delle Nazioni Unite. Soltanto nel 2011 tre Stati, altrettanto non riconosciuti – l‘Abkhazia, la Repubblica di Artsakh e l’Ossezia del Sud – hanno appoggiato l’indipendenza di questo territorio.
In seguito al fallimento della secessione, nel marzo del 1992 ebbe inizio una guerra su scala limitata tra la Repubblica della Moldavia e la Repubblica Moldava di Transnistria, quest’ultima supportata dalla Guardia Repubblican, formata per lo più da civili e da volontari russi e della vicina Ucraina.L’esercito moldavo, trovandosi in posizione di inferiorità numerica e di armamenti, fu sconfitto con rilevanti perdite. L’ordine di cessare il fuoco venne mediato dalla Russia, con la conseguente formazione di forze di peacekeeping. Il gruppo, composto da cinque battaglioni russi, tre moldavi e due transnistri, rispondono ancora oggi a una struttura di comando militare comune, la Joint Control Commission (JCC).
Oggi il governo di Transnistria e la sua economia dipendono fortemente dai sussidi provenienti dalla Russia