Roma – “Sono veramente felice che Patrick Zaki sia stato scarcerato e spero che a febbraio verrà assolto. Un risultato ottenuto grazie anche alla mobilitazione che in Italia è nata intorno al suo caso. Ciò dimostra quanto sia importante continuare a parlare delle migliaia di prigionieri di coscienza in Egitto, come mio marito Ramy, che da oltre due anni è in carcere e con cui da febbraio mi impediscono di parlare”. Con l’agenzia Dire dialoga Céline Lebrun Shaath, cittadina francese e moglie di Ramy Shaath, il difensore dei diritti umani e attivista politico palestinese-egiziano che si batteva per la democrazia ben prima della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011.
Shaath è stato però arrestato dagli agenti dei servizi segreti egiziani il 5 luglio del 2019 – un anno dopo le nozze con Céline – con accuse analoghe a quelle mosse contro lo studente universitario di Bologna: sostegno a gruppo terrorista, attività volte a destabilizzare la sicurezza dello Stato e diffusione di false notizie. I media in questi mesi hanno spesso accostato le due vicende per i vari punti in comune che presentano, arrivando a soprannominarlo “lo Zaki francese”.
Anche Ramy è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Tora, al Cairo, e come Zaki ha visto il giudice confermare la detenzione cautelare ogni 45 giorni. La legge egiziana fissa un limite massimo di due anni, oltre il quale non è più possibile rinnovare il carcere preventivo. Come evidenzia Céline Lebrun Shaath, se però Zaki al momento del rilascio ancora non aveva raggiunto tale limite (lo studente è uscito al termine dei 22 mesi in cella, essendo stato arrestato il 7 febbraio del 2020), Ramy Shaath lo ha superato, e da ben cinque mesi ormai: “I termini sono scaduti il 5 luglio scorso” avverte la moglie, “e ora viene tenuto dentro senza un motivo legale reale. Si trova in un limbo giudiziario, in uno stato di privazione arbitraria della libertà personale”.
Una situazione che, come denunciano da mesi i familiari, pesa sulle condizioni psico-fisiche dell’uomo che ha compiuto 50 anni dietro le sbarre: “Anche se è una persona forte, la detenzione prolungata e la lontanza stanno diventando sempre più difficili da sopportare” dice la moglie, che spiega: “E’ tenuto in una cella fatiscente di 25 mq con altri 15 detenuti senza riscaldamenti né acqua calda. La latrina consiste in un buco nel pavimento. E’ il terzo inverno che passa così”. A novembre la donna, per suscitare attenzione e solidarietà attorno alla situazione del marito, ha anche lanciato uns fida su Twitter: “Vivo ogni giorno pensando alle torture che Ramy subisce. Lanci una sifda: proviamo questo fine settimana a dormire in un sacco a pelo sul pavimento del bagno per una sola notte, chiudendo la porta da mezzanotte alle 9 del mattino. Impossibile?”. Il post ha ottenuto 45 like e trenta condivisioni.
In questi 29 mesi di reclusione, continua Céline Lebrun Shaath con la Dire, “i suoi avvocati non hanno ancora potuto visionare le carte dell’accusa e quindi neanche gli elementi di prova che sottendono i reati contestati. Ne’ le indagini ne’ tanto meno il processo sono mai iniziati”.
Difficoltose anche le comunicazioni con la famiglia: “Solo la figlia e la sorella riescono a vederlo una volta al mese, anche per prendere le lettere che ci scrive, e che ci arrivano censurate in varie parti” denuncia la moglie che vive in Francia e da febbraio non riesce a vederlo: “L’ultima volta che sono tornata al Cairo è stato estremamente complicato ottenere un visto d’ingresso. L’ambasciata di Francia ha dovuto lavorare molto affinché le autorità egiziane me lo concedessero. Ho quindi deciso di non chiederlo più: voglio che la diplomazia francese si dedichi completamente alla liberazione di Ramy”.
Ma sull’azione di mediazione del governo dell’Esagono, Céline esprime delusione: “Proprio un anno fa, a dicembre, il presidente Emmanuel Macron si impegnava per la sua scarcerazione, ma non si sono visti ancora risultati concreti”.
Suscitò invece sdegno il conferimento da parte di Macron della Legion d’onore al presidente Abdel Fattah Al-Sisi, ritenuto dai difensori per i diritti umani l’ideatore delle leggi liberticide che mettono dietro le sbarre i dissidenti. Il capo di Stato, salito al potere nel 2013 dopo aver rovesciato il governo democraticamente eletto di Mohamed Morsi, negli ultimi dodici mesi è stato varie volte a Parigi, mentre gli accordi economici e commerciali tra i due Paesi si moltiplicano.
Un motivo in più secondo Céline Lebrun Shaath per mantenere alta l’attenzione sulla questione dei detenuti di coscienza in Egitto, che secondo le ong sarebbero tra le 25 e le 60.000 persone. Per la donna resta fondamentale anche la mobilitazione della società civile francese per suo marito: “In questi mesi oltre 200 tra parlamentari, eurodeputati francesi e amministratori locali si sono espressi a favore della sua scarcerazione. Il comune di Nanterra gli ha conferito la cittadinanza onoraria, quello di Lione ha affisso un disegno che lo ritrae. Io sono in costante contatto con l’Ambasciata e il Ministero degli Esteri francese ma- conclude Lebrun Shaath- aspetto risultati concreti”.
Fonte «Agenzia DIRE»