27 gennaio 2022 – Una sentenza “importante” lungo “il cammino di ricerca della giustizia”, che “dà valore alla parola delle donne dei popoli originari del Guatemala, costrette al silenzio e all’invisibilità per anni”. Un segnale “in un Paese che nega il razzismo e che lo rimuove dalla cause” del trentennale conflitto civile che lo ha colpito tra gli anni ’60 e ’90. A parlare è Haydeé Valey, avvocata guatemalteca parte del team legale delle 36 donne della comunità nativa achì che lunedì hanno vinto la loro battaglia per la giustizia: cinqueappartenenti a un gruppo paramilitare sono stati condannati fino a quarant’anni di carcere per crimini contro l’umanità commessi ai danni di queste attiviste durante la guerra civile.La sentenza è arrivata dopo tre settimane di udienze, 18 testimonianze e oltre 20 perizie. La denuncia era stata presentata dalle donne della comunità achì nel 2011.
I fatticontestati risalgono alla prima metà degli anni ’80 e sono avvenuti nel dipartimento centrale di Baja Verapaz. A emettere la sentenza il Tribunal de riesgo mayor ‘A’ della capitale Ciudad de Guatemala, corte preposta dalla Corte suprema a esaminare i casi che presentano rischi particolari di sicurezza per le persone coinvolte.Gli ex miliziani condannati, ritenuti colpevoli dei crimini di violenza sessuale e schiavitù, sono tutti appartenenti alle cosiddette Patrullas de Autodefensa Civil (Pac), un gruppo paramilitare costituito a inizio anni ’80 dall’allora presidente de facto Efraín Ríos Montt. Quattro degli incrimati sono stati condannati a 30 anni di reclusione mentre solo uno, Gabriel Cuxún Alvarado, a 40.All’agenzia Dire l’avvocata, pure nativa del popolo maya, oltre dieci anni di esperienza nella giustizia di transizione e nella difesa dei diritti umani, parla dell’importanza di questa sentenza per il Guatemala di oggi.
“E’ importante- spiega – perchè rivendica la verità delle donne del popolo maya che fanno parte della comunità achì, in un Paese che nega il razzismo come causa del conflitto civile”. Anche le tempistiche danno risalto alla decisione dei giudici: “E’ dal 2018 che non c’erano sentenze in casi di giustizia di transizione post-guerra, nonostante siano migliaia le denunce depositate presso la giustizia guatemalteca”, sottolinea la legale. Se il verdetto è incoraggiante, il contesto nel quale si situa si presenta però come complesso: “In Guatemala è sempre più difficile portare a termine dei processi legati al periodo della guerra, è sempre più complicato che ci sia una riconciliazione a partire da un riconoscimento delle responsabilità e di una conoscenza più ampia della verità”, afferma Valey, convinta che “gli spazi per comprendere le cause strutturali del conflitto armato si stanno chiudendo, mentre vengono ignorate le richieste delle vittime e non vengono attuati gli accordi di pace”, siglati il 29 dicembre 1996 tra lo Stato guatemalteco e le Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca – Movimiento Amplio de Izquierda (Urng-Maiz), alleanza di più gruppi ribelli.
Tra i principali imputati per questo fallimento, il governo del presidente Alejandro Gianmattei. “Nel 2020 l’esecutivo ha chiuso le ultime istituzioni che avevano il mandato di implementare gli accordi – denuncia l’avvocatessa -, mentre il programma amministrativo di riparazione per le vittime del conflitto, in teoria operativo fino al 2023, è indebolito al punto da essere praticamente non operativo”. L’anno scorso inoltre, aggiunge Valley, “il governo ha rimosso dall’incarico Hilda Pineda, capo della procura per i diritti umani incaricata di indagare nei casi di giustizia di transizione. Parliamo di una professionista che aveva più di dieci anni di esperienza in questo settore”.Nonostante le difficoltà, ci sono elementi positivi che danno speranza, a partire dalla stessa sentenza. “Le donne che hanno presentato la causa e le tre avocate che l’hanno gestita sono tutte di origine maya”, evidenzia Valley. “Abbiamo ricevuto tanti messaggi di solidarietà e siamo consapevoli del peso che sta avendo questo verdetto, perché riconosce che il dolore delle donne native è importante, riconosce che sono parte della società guatemalteca”.
Il conflitto civile guatemalteco vide confrontarsi una serie di governi sostenuti dal blocco occidentale e in modo particolare dagli Stati Uniti e diversi gruppi ribelli, per lo più di ispirazione marxista. Il conflitto fu segnato anche da un largo uso della violenza ai danni delle popolazioni originarie, in modo particolare da parte dello Stato e di gruppi paramilitari alleati. Stando ai dati della Comision para el Esclarecimiento Historico, i morti sono stati circa 200mila e le persone scomparse circa 45mila. Il 93% dei decessi, sempre secondo I rilievi della Comision, sono attribuibili all’esercito regolare. (Agenzia Dire)