“L’incidente avvenuto alla petroliera ancorata nei pressi di Warri ha rimesso sotto i riflettori una questione fondamentale in Nigeria: quella del mancato rispetto delle leggi e degli standard di sicurezza e rispetto dell’ambiente da parte delle aziende, e della debolezza delle autorità nigeriane in questo senso”. A parlare è Seyfunmi Adebote, ambientalista nigeriano di 28 anni, conduttore del podcast sul tema Climate Talk Podcast.L’intervista con l’agenzia Dire si svolge pochi giorni dopo l’affondamento, a seguito di un’esplosione, della Trinity Spirit, un’unità galleggiante di produzione e stoccaggio di petrolio (Fpso). Si tratta di una nave petroliera ancorata ad una piattaforma. La Trinity Spirit è operata dalla società nigeriana Shebah Exploration and Production (Sepcol) sul giacimento di Ukpokit, a largo delle coste di Warri, città portuale e nodo commerciale principale dello Stato meridionale del Delta, nella regione geografica del delta del fiume Niger, cuore della produzione nigeriana di petrolio.
Nell’incidente sono rimasti uccisi tre membri dell’equipaggio, altri tre sono stati già tratti in salvo mentre quattro sono ancora dispersi. Adebote, che si occupa anche di consulenza per imedia, risiede nella capitale Abuja, circa 430 chilometri più a nord, ma ha contatti nella zona in cui è avvenuto l’incidente.”So che ci sono state delle fuoriuscite di petrolio come avviene sempre in questi casi, mentre c’è preoccupazione per la qualità dell’aria e dell’acqua nella zona dell’esplosione, conripercussioni sulle attività sia dei pescatori che dei contadini”, riferisce l’attivista.Stando a fonti interne alla Sepcol, al momento dell’esplosione l’unità di stoccaggio conteneva solo qualche decina di migliaia di barili rispetto alla sua capacità massima di due milioni. Il ministero dell’Ambiente ha parlato di una quantità compresa tra I 50 e i 60mil barili.
L’unità aveva infatti smesso di produrre da un paio di anni dopo la perdita delle licenze del consorzio proprietario mentre buona parte delle grandi società del settore che operano nel delta del Niger avevano smesso di servirsene. Alle origini di questo calo nell’operatività dell’imbarcazione c’erano probabilmente le sue condizioni: come denunciato da diverse organizzazioni ambientaliste locali, come Health of Mother Foundation infatti, la nave era carente di manutenzione, presentava diversi problemi tecnici e aveva circa 30 anni di servizio, 20 in più di quelli ritenuti normali per una struttura del genere.”Il punto sono proprio le raffinerie e le infrastruttura petrolifere che operano completamente fuori dalle regole”, conferma Adebote. “E’ necessario non soffermarsi sui singoli episodi ma capirne le radici profonde: le politiche del governo nigeriano che permettono alle aziende di operare senza rispettare gli standard di sicurezza”.Secondo il conduttore del Climate Talk Podcast – che registra oltre 10mila ascoltatori al mese e realizza un focus speciale sull’attivismo di giovani – “in tutta la catena di produzione del petrolio in Nigeria ci sono dei buchi molto rilevanti”. Non basta infatti “dichiarare impegni e firmare accordi” afferma l’attivista, che poi lancia un appello al governo del presidente Muhamadu Buhari: “è imprescindibile che vengano messe in pratica delle politiche concrete, dotandosi degli strumenti per monitorare ed eventualmente punire chi sbaglia”.
I rischi sono estremamente concreti. Stando ai dati raccolti da ricercatori della Federal University of Technology di Akure, sempre nel sud del Paese, tra il 2006 e il 2019 si sono verificati quasi 8mila episodi di fuoriuscite di petrolio nella zona del delta del Niger. “I rischi per la salute sono molto seri- afferma Adebote- come ci si è accordi nel 2016, quando la città di Port Harcourt è stata avvolta completamente da una fuliggine nera per mesi e mesi a causa della produzione di petrolio illegale che avveniva nelle vicinanze”, aggiunge l’attivista in riferimento a un episodio che molti attivisti e residenti della città, circa 1,3 milioni di abitanti, misero in relazione alle attività di raffinerie non legali. Stando a un report del ministero della Salute pubblicato nel 2019, questo fenomeno ha provocato circa 25mila decessi.Più in generale secondo l’attivista il settore petrolifero necessita di una riforma seria, anche per quanto riguarda la suddivisione degli introiti che ne derivano. Una legge approvata lo scorso luglio dal parlamento di Abuja introduce una quota del 3% da destinare alle comunità locali. “In pratica- questa la tesi di Adebote- stiamo parlando di briciole: si sfruttano le comunità e gli si da in cambio una percentuale minima di quello che dovrebbero avere”. La missione, secondo il giovane consulente, è “creare un’industria estrattiva compatibile con il rispetto dei diritti umani”. Magari, aggiunge Adebote, “iniziando anche a pianificare veramente la diversificazione energetica della nostra industria, che al momento è completamente centrata sugli idrocarburi. Sono stati fatti dei passi in avanti ma resta moltissimo da fare”. «Agenzia DIRE»