Le dichiarazioni dell’ambasciatore iraniano in Italia Hamid Bayat non lasciano dubbi interpretativi: “prima dell’abbandono dell’accordo nucleare da parte degli Usa, le relazioni commerciali tra Iran e Italia erano cresciute in meno di due anni da un miliardo di euro a 5,1 miliardi di euro”. Bayat, a margine di un’intervista all’Ansa in occasione del 43esimo anniversario della Rivoluzione islamica nel suo Paese (11 febbraio, ndr), ha anche detto “vedo possibile per l’Italia riconquistare la posizione occupata nel periodo precedente le sanzioni”.
Oggi, a tre anni dall’abbandono del mercato iraniano di numerose imprese italiane come conseguenza laterale del ritiro dal Jcpoa degli Stati Uniti, le condizioni economiche di Teheran hanno registrato importanti cambiamenti. Nonostante le crescenti difficoltà politiche internazionali, Iran e Italia hanno proseguito anche in questi anni una vivace collaborazione in molti campi per promuovere una più efficace cooperazione bilaterale ed internazionale orientata. Intense sono le relazioni storiche tra i due Paesi, così come quelle culturali ed economiche, che affondano le loro antichissime origini fin dall’Impero Romano.
Tornado ai giorni nostri, a seguito del Jcpoa, Joint Comprehensive Plan of Action – piano d’azione globale congiunto (Pacg) – noto comunemente come accordo nucleare iraniano o accordo con l’Iran, raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015 tra Iran, Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti e Germania insieme all’Ue, e all’interruzione delle sanzioni, l’allora presidente della Repubblica Islamica dell’Iran Hassan Rouhani scelse l’Italia per il suo primo viaggio di Stato. In quell’occasione venne firmato il protocollo d’intesa per complessivi 20 miliardi di euro e coinvolgente numerosi grandi gruppi industriali italiani.
Tuttavia, il processo di distensione e collaborazione ha subito un freno per effetto del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare, avvenuto nonostante l’amministrazione statunitense avesse certificato nel 2017 per ben due volte la conformità dell’Iran all’accordo di Vienna. Nel maggio 2018 l’amministrazione Trump si ritirò poi dall’accordo con l’obiettivo i forse il pretesto di negoziare un accordo migliore.
Ma quali sono gli aspetti più significativi della lunga tradizione di collaborazione culturale tra Iran e Italia? Lo abbiamo chiesto a Roberto Pasca di Magliano, economista e direttore della School of Financial Cooperation and Development (Sfide) di UnitelmaSapienza.
Una lunga storia di collaborazione culturale caratterizza le relazioni tra Iran e Italia sin dal 1958, guardando alle più recenti, possiamo ricordare: la collaborazione delle università iraniane che offrono corsi di lingua italiana. Il programma di collaborazione esecutiva nei settori della cultura, dell’istruzione superiore e della ricerca (firmato nel 2015), la mostra dal titolo Italia e Iran, 60 anni di collaborazione sui beni culturali, inaugurata nel 2019 presso il Museo Nazionale dell’Iran, il progetto di promozione e scambio di conoscenze italiane e iraniane nel campo della gestione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale, la collaborazione, siglata nel 2021 su un progetto di turismo culturale dopo l’interruzione causata dalla pandemia di Covid-19. La collaborazione in questo campo nasce nel 2019 su iniziativa dell’Ambasciata d’Italia e dell’Ufficio Ice di Teheran, in collaborazione con Alleanza Italiana delle Cooperative e Ministero iraniano dei Beni Culturali, del Turismo e dell’Artigianato.
Crede che gli stretti legami culturali possano migliorare le relazioni reciproche, anche in campo economico?
L’Italia diventerà il primo partner commerciale tra i membri Ue per l’Iran. Le relazioni economiche tra i due Paesi hanno avuto un’evoluzione positiva dopo la firma dell’accordo sul nucleare. Gli operatori economici e i partiti politici di entrambi i Paesi, attraverso una precisa comprensione dei reciproci interessi nazionali, hanno saputo creare le condizioni per lo sviluppo delle relazioni economiche. La significativa diminuzione del volume delle relazioni economiche tra i due Paesi nel 2021 è dovuta principalmente a fattori esterni e nell’ultimo anno in particolare a due elementi principali: le politiche statunitensi nei confronti dell’Iran e gli effetti dell’epidemia di coronavirus. La Repubblica Islamica dell’Iran ha sempre sottolineato la sua piena disponibilità ad interagire con l’Italia in diversi ambiti della cooperazione bilaterale anche in campo politico, regionale, economico e commerciale. Con una popolazione di 83 milioni di abitanti, l’Iran è pronto ad aumentare la cooperazione economica e commerciale e le joint venture con l’Italia, inoltre dispone di una forza lavoro specializzata e di grandi risorse naturali con accesso a un mercato di circa 400 milioni di persone che vivono nei paesi dell’area. L’Italia è stato il primo partner commerciale dell’Iran dal 2006 al 2012, periodo in cui Teheran aveva deciso di continuare a perseguire il suo piano di sviluppo e utilizzo dell’energia nucleare. In buona sostanza, il commercio ha sofferto le sanzioni, come era lecito aspettarsi. Nel 2021, l’export italiano ha raggiunto i 350 milioni di euro (-26%), mentre le importazioni italiane sono salite a 149 milioni di € (+ 76%).
Molti esperti e decisori politici chiedono una politica di cooperazione più efficace, in grado di migliorare il capitale umano interno e di scoraggiare i flussi migratori. Qual è la sua opinione?
Secondo l’Economic Cooperation and Development (Ocse) nel 2020 gli Aiuti Ufficiali allo Sviluppo (APS) hanno raggiunto 161,2 miliardi di dollari, volume di aiuti al di sotto dell’obiettivo fissato dalle Nazioni Unite (0,7%). Sei Paesi donatori hanno raggiunto o superato l’obiettivo: Danimarca, Germania, Lussemburgo, Norvegia, Svezia e Regno Unito. Ben 16 paesi donatori hanno aumentato i loro aiuti ufficiali allo sviluppo (Aps), mentre 13 paesi hanno segnato una diminuzione. L’Aps bilaterale dei membri dell’Ocse verso i paesi meno sviluppati è aumentato in termini reali dell’1,8% (34 miliardi di dollari) e in particolare verso l’Africa del 4,1% (39 miliardi di dollari).
L’Aps all’Iran, dal 1960 al 2019, ha raggiunto i 210 milioni di dollari: un livello minimo di 82 milioni di dollari è stato raggiunto nel 2014 e un massimo di 243,05 milioni di dollari nel 1978. Ma in media gli aiuti all’Iran raggiungono solo l’1,5% dell’APS totale.
Aps verso IRAN (million $)
Negli ultimi 4 decenni, il Paese ha anche ospitato una delle più grandi popolazioni di rifugiati al mondo, tra cui circa 4 milioni di afghani vulnerabili, di cui 780.000 registrati come rifugiati. L’Iran, inoltre, rimane uno dei paesi più colpiti dal Covid 19, la pandemia sta mettendo a dura prova il sistema sanitario e l’economia, già gravata dalle sanzioni, di Teheran. Solo nel 2021 l’Ue ha stanziato 19 milioni di euro in assistenza umanitaria alle persone più vulnerabili in Iran, portando il sostegno umanitario totale dell’Ue a 81,3 milioni di euro. Parte del finanziamento mira a combattere la pandemia di Covid-19, inclusa la fornitura di attrezzature mediche, protettive e test urgenti. Inoltre, gli aiuti umanitari dell’Ue forniscono assistenza vitale ai rifugiati afgani più vulnerabili e alle comunità ospitanti, attraverso programmi di protezione, compresa l’assistenza in denaro alle persone più vulnerabili.
A livello mondiale, salvo l’aumento degli aiuti ufficiali allo sviluppo (APS), i flussi migratori internazionali sono in costante aumento negli ultimi anni. Nel 2020 la stima globale parlava di circa 281 milioni di migranti internazionali nel mondo, 3,6% della popolazione mondiale. Nel complesso, il numero stimato di migranti internazionali è aumentato negli ultimi cinque decenni. L’Iran ospita più di 4 milioni di profughi afgani, quali prospettive a medio-lungo termine?
Si prospetta di fatto la necessità di ridurre il flusso migratorio incontrollato in quanto priva i paesi di origine della principale risorsa necessaria per promuovere lo sviluppo interno, ossia il capitale umano. A tal fine, la cooperazione internazionale deve essere dedicata al miglioramento del capitale umano locale, promuovendo l’accesso dei poveri ai bisogni primari, come i diritti civili, l’alimentazione, l’istruzione primaria, la salute di base.
Quali le strategie per una politica di cooperazione più efficace?
L’efficacia della politica di cooperazione e di sviluppo riporta alla necessità di accrescere l’impatto sociale sui poveri. Gli aiuti sono una risorsa limitata, che deve essere spesa nel modo più efficace possibile tale da sollevare le condizioni dei più bisognosi, dei poveri che – come tali – non riescono a contribuire allo sviluppo locale. Pertanto, gli aiuti ufficiali allo sviluppo devono essere utilizzati in modo molto efficiente ed efficace per raggiungere obiettivi di sviluppo. Politiche inadeguate e pratiche scorrette possono rendere inutili gli aiuti pubblici. È quindi determinante garantire che gli approcci utilizzati da governi, donatori e di altri partner a livello nazionale siano coerenti con i principi e le pratiche di efficacia dello sviluppo. La piattaforma multi-stakeholder Global Partnership for Effective Development Cooperation (Gpedc) è un’associazione che mira a riunire governi, organizzazioni bilaterali e multilaterali, rappresentanti della società civile, settore privato, parlamenti, governi locali e sindacati per promuovere l’efficacia e gli sforzi di tutti coloro i quali “gareggiano” per lo sviluppo. Inoltre, nel giugno 2020, la Commissione europea ha pubblicato uno studio basato sui dati raccolti dal GPEDC per misurare l’efficacia dell’APS degli Stati membri nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Nonostante il continuo impegno delle politiche dell’UE e degli Stati membri nei confronti dei principi di efficacia, lo studio rileva un deterioramento delle prestazioni rispetto alla maggior parte degli obiettivi di efficacia,
Quale secondo lei la “ricetta” giusta per promuovere lo sviluppo?
A nostro avviso, è necessario passare da politiche ispirate “dall’alto” (top-down policies) a politiche capaci promuovere lo sviluppo “dal basso” (bottom-up policies) al fine di migliorare il capitale umano locale, con la convinzione che questo processo possa generare piccole imprese nazionali e attirare capitali esteri. Molte esperienze nazionali dimostrano che investire nel capitale umano non solo ridurrebbe lo stimolo all’emigrazione ma aumenterebbe anche lo sviluppo economico interno. La Corea del Sud è l’esempio più significativo di una rapida crescita promossa dal miglioramento del capitale umano. Anche diversi cosiddetti paesi emergenti in Asia, alcuni in Sud America e in Africa (Uganda) mostrano positive esperienze similari. Tra le politiche-misure più efficaci, la microfinanza sembra essere uno degli strumenti più stimolanti per migliorare il capitale umano locale in quanto coinvolge anche individui non istruiti, per produrre beni e per partecipare alle decisioni politiche. Da un recente studio condotto dalla School of Financial Development – Sfide – di UnitelmaSapienza, Università di Roma risulta che un aumento del 10% del portafoglio prestiti lordo della microfinanza:
⦁ conduce ad un sostanziale aumento del capitale umano (misurato nell’Indice del Capitale Umano) e ad una diminuzione del 4% delle migrazioni;
⦁ aumenta il Pil pro-capite dello 0,1%;
⦁ viceversa, un aumento del 10% della migrazione forzata porta a una diminuzione dello 0,2% del Pil pro capite.
Io spero che nell’immediato futuro la cooperazione bilaterale tra Iran e Italia possa essere ispirata a misure politiche di bottom-up al fine di promuovere l’emancipazione individuale e il miglioramento del capitale umano locale e, in tal modo, facilitare la partecipazione alle istituzioni locali, aumentare la produttività del lavoro locale e, in tal modo, attrarre capitali dall’estero e promuovere, naturalmente, soluzioni di sviluppo che possano scoraggiare i flussi migratori incontrollati.