Dal 24 febbraio la cartina dell’Europa è entrata prepotentemente nell’immaginario collettivo arricchendosi di nuovi e meno noti confini: il Donbass, la Crimea e l’Ucraina. La “fame” di conoscenza dell’opinione pubblica occidentale è cresciuta al pari dell’escalation militare che vede la Russia e l’Ucraina combattersi in un conflitto mai visto in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Le domande sono tante, le risposte meno in una fase interlocutoria si fatica a comprendere le reali strategie di Vladimir Putin.
Che ne sarà delle democrazie liberali e delle loro alleanze? Joe Biden agirà nel solco del Novecento americano? I nodi che si stringono sulle forniture di gas e petrolio hanno seppellito la transizione ecologica? In cima, questa, nelle agende de governi prima che la Russia varcasse i confini del Donbass? Sui politici russi Anna Stepanovna Politkovskaja – giornalista martire, ritrovata morta nell’ascensore del suo palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006 – scriveva: “I politici sono imprevedibili e nessuno sa con quale pretesto decideranno di sguainare le spade la prossima volta e contro chi. Al posto dei ceceni la prossima volta potreste esserci voi”. Parole profetiche.
In soli due giorni, dopo mesi di forte pressione ai confini con 150mila militari in stand-by, Putin ha riconosciuto le due repubbliche separatiste del Donbass ed ha ordinato la più grande invasione militare di terra in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nei discorsi ai media e alla nazione russa Putin ha sempre evitato di pronunciare la parola “guerra” puntando su “demilitarizzare” e “de-nazificare” come a voler ribaltare il punto di vista e i significati della sua azione bellica. E’ chiaro come il leader russo voglia entrare nella “storia”, già all’epoca dell’annessione della Crimea (2014) invocando il Russkij Mir – il mondo russo – il concetto di Novorossia, nuova Russia, iniziò a essere portato all’attenzione dei media. Putin ha sempre parlato di “nazione divisa” dei russi e della necessità di proteggere la civiltà russa dai “pericoli delle forze esterne”. Per cui non ci sorprende – in questo senso – che la lettura dei fatti di oggi sia figlia proprio della sua malcelata ambizione di rimettere in forze la Russia “umiliata e colonizzata dagli occidentali negli anni Novanta”. Del resto la politica di potenza inaugurata da Putin ha visto in questi anni la Russia tornare protagonista in diversi teatri prima appannaggio dell’unica superpotenza rimasta in piedi dopo il 1989: gli Stati Uniti. In Medio Oriente, dalla Siria alla Libia, abbiamo assistito al ritiro delle forze americane a vantaggio di quelle russe, ma la garanzia di sicurezza richiesta per il suo paese all’Occidente si scontra con la pretesa di negare a una nazione (l’Ucraina!) la libertà di scegliersi la collocazione nel mondo. Putin sembra quindi applicare al XXI secolo categorie del XIX. Quali sono davvero i suoi piani per l’Ucraina?
Proviamo a fare chiarezza e riavvolgere il nastro: ai confini della storia dell’Ucraina.
Circa mille anni fa i trafficanti di schiavi vichinghi attraversarono una rotta che lambiva il fiume Dnepr – quarto fiume d’Europa che nasce nella Russia occidentale ed attraversa oggi la Bielorussia e l’Ucraina – e passava per uno degli snodi commerciali più importanti della regione: Kiev. Quei vichinghi chiamavano se stessi rus. A quel tempo l’antico khanato di Khazaria si stava sgretolando, i kazari erano riusciti a bloccare l’avanzata dell’islam nel Caucaso (VIII secolo), mentre i vichinghi li sostituirono nella raccolta dei tributi di Kiev iniziando il primo processo di melting pot della regione, mescolando usi, costumi e lingua con quelli della popolazione locale. I rus non erano pagani e prima di convertirsi al cristianesimo presero in considerazione anche l’ebraismo e l’islam, il primo sovrano a convertirsi fu Valdemar – o Volodymyr – e intorno all’anno mille si registrò il culmine della conversioni. La Rus di Kiev seguì poi le consuetudini dell’epoca anche nella politica matrimoniale e nel 1051 inviò una principessa a Reims per sposare il re di Francia. Una nuova minaccia arrivò da est: i mongoli all’inizio del XIII secolo iniziarono le loro scorribande e furono sempre più difficili da contrastare.
La lingua. Successivamente le terre dei Rus vennero assorbite dal Granducato di Lituania, il più grande paese europeo dell’epoca. Kiev trasferì quindi il suo portato storico e culturale alla capitale Vilnius, compreso lo slavo ecclesiastico, base per la lingua ufficiale poi adottata in Lituania. In seguito la Lituania si unì alla Polonia, governata da Vilnius e poi da Varsavia tra il XIV e il XVIII secolo Kiev fu sempre coinvolta negli avvenimenti più importanti dell’area. Nell’Europa occidentale – intanto – il volgare sostituì il latino mentre a Kiev il latino era utilizzato così come la lingua slava ecclesiastica, mentre tra le élite il volgare polacco fu scelto al posto dell’ucraino. Nel Seicento e nel Settecento la questione linguistica venne sciolta in favore del polacco, sostituito poi dal russo nell’Ottocento e nel Novecento e a sua volta dall’ucraino nel XXI secolo.
Tornado nuovamente indietro nel tempo bisogna anche dire che alcuni territori nordorientali della vecchia Rus seguirono un percorso diverso dopo l’invasione mongola, i principi di Mosca – nuova città che non esisteva ai tempi della Rus di Kiev – conquistarono via via grande importanza riscuotendo i tributi per conto dei mongoli. Lo stesso Granducato di Mosca iniziò la sua storia di indipendenza allorché l’impero mongolo si sgretolò. Mosca si espanse prima a sud e poi a est e quando la Polonia-Lituania e Mosca siglarono la pace – fine del Seicento – Kiev si schierò con Mosca. I religiosi di Kiev iniziarono allora a raccontare che l’Ucraina e la Russia condividevano una storia comune e i russi incominciarono a tramandare nel tempo questa credenza.
Nel 1721 il Granducato di Mosca assunse il nome di Impero russo, riferendosi all’antica Rus ormai scomparsa da più di mezzo secolo (!) e tra il 1772 e il 1795 la Polonia- Lituania venne spartita dall’imperatrice russa Caterina. Nel corso dell’Ottocento poi, gli storici russi continuarono a diffondere l’elemento occidentale a discapito di quella asiatico nella storia nazionale, non considerando i settecento anni in cui Kiev era esistita in maniera indipendente dalla Russia.
Nell’Impero russo iniziò a farsi strada un movimento nazionale ucraino che concentrò prevalentemente la sua attività nei territori della monarchia asburgica per il divieto di usare la lingua ucraina. Vita culturale che proseguì in Polonia dopo la dissoluzione della duplice monarchia nel 1918. Gran parte della guerra civile russa fu poi combattuta in Ucraina dal 1917 al 1922 arrivando così alla creazione della federazione di repubbliche nazionali dell’Urss. Quando nel 1991 il leader russo Boris Eltsin svincolò la Russia dall’Unione Sovietica firmò un accordo anche con i leader di Ucraina e Bielorussia, rappresentanti delle entità fondative dell’Urss.
Durante la Seconda guerra mondiale e già dal 1933 in Ucraina si registrò la più alta mortalità del mondo, sia Berlino sia Mosca sfruttarono il paese come immenso granaio per sfamare la loro popolazione. Inoltre la prima esecuzione di ebrei da parte dei tedeschi avvenne a Kamianets-Podilskyi, mentre il più sanguinario olocausto fu organizzato a Babij Jar, sempre in Ucraina.
Pagine tristi di una storia come abbiamo visto travagliata fin dalle sue origini. Alla fine della guerra nel 1945 i territori ex polacchi furono annessi all’Ucraina sovietica, così come ad alcuni territori della Cecoslovacchia, la Crimea fu assorbita all’Ucraina nove anni dopo.
E arriviamo a oggi. Il primo presidente eletto dell’Ucraina, dopo il referendum del 1991 che sancì l’indipendenza, fu Leonid Kravčuk che inizialmente ebbe rapporti tesi con la Russia. Kravčuk fu sconfitto nel 1994 da Leonid Kučma, presidenza avvolta da numerosi casi di corruzione, scandali e censura dei media. Nel 2000 venne formato un governo riformista capeggiato da Viktor Juščenko, ma già nell’aprile del 2001 la perdita della maggioranza parlamentare causò un periodo di instabilità. Dopo il mandato di Anatolij Kinakh, dal 21 novembre 2002 fu nominato primo ministro Viktor Janukovyč. Successivamente i risultati delle elezioni presidenziali dell’ottobre 2004, dopo proteste e sospetti di elezioni “truccate” a favore del primo ministro Janukovyč e la “Rivoluzione arancione” da parte dei sostenitori di Juščenko, vennero sospesi dalla corte suprema. Le elezioni – ripetute il 26 dicembre 2004 – sancirono poi la vittoria di Viktor Juščenko, entrato in carica il 23 gennaio 2005, con il sostegno degli Stati Uniti e il favore dell’Unione europea. Dopo due forti crisi nel 2007 e nel 2008 alle nuove elezioni presidenziali del 2010 è eletto nuovamente Viktor Janukovyč e nel 2013 le forti proteste pro-Unione europea contro il presidente filo-russo esplosero in maniera evidente. A Viktor Janukovyč sono poi succeduti Oleksandr Turčynov e Petro Porošenko. Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e l’inizio delle ostilità nel Donbass viene eletto Volodymyr Zelensky nel 2019.
La storia della Russia e quella dell’Ucraina sono quindi sì legate a quella dell’Unione Sovietica e dell’Impero russo, dalla religione ortodossa e da tanti altri aspetti ma Mosca è più legata all’Asia rispetto all’Ucraina che – come abbiamo visto – ha avuto rapporti costanti e scambi culturali con il “cuore” dell’Europa. La Polonia e la Lituania – oltre alla presenza ebraica – sono riferimenti cruciali per qualsiasi analisi che voglia indagare il passato di questa terra spesso contesa e ricca di grande storia. L’Ucraina quindi è più vicina al Rinascimento, alle espansioni della grande Polonia-Lituania, alla riforma protestante, al risveglio nazionale di quanto non lo sia di fatto la Russia.