Esponente associazione studenti: UE è nostra ultima speranza. A due anni dalla rielezione di Aleksander Lukashenko in Bielorussia “la gente vive nella paura ed è stanca di protestare, direi che è in burnout: per molti, l’unico modo di invocare riforme democratiche o la fine della guerra in Ucraina è attaccare stickers e poster per le strade, ben sapendo che se si viene scoperti si rischiano fino a 15 giorni di carcere”. Lizaveta ha meno di 26 anni ed è un’esponente della Belarusian Students’ Association (Bsa).
Le sue dichiarazioni a qualche giorno dal secondo anniversario delle proteste popolari contro il reinsediamento del presidente Lukashenko, l’8 agosto del 2020. Ad oggi, per l’attivista – di cui omettiamo il cognome per ragioni di sicurezza – alla repressione del movimento di protesta si sono aggiunti gli effetti economici delle sanzioni che l’Ue ha imposto per il sostegno di Minsk alla Russia nel conflitto in Ucraina. “La gente è in burnout- dice l’attivista, riferendosi a una condizione di stress e frustrazione estreme- rispetto a due ani fa non si può più manifestare il dissenso in nessun modo. Inoltre vede i prezzi di tutti i prodotti salire per effetto delle sanzioni, mentre i salari restano fermi. Le piccole e medie imprese scontano il fatto di non poter più commerciare con l’estero”. Tutto questo “determina gravi ripercussioni psicologiche sulle persone”. Nel mirino della repressione non finiscono solo i dissidenti, ma anche i famigliari: Lizaveta riferisce che “chi ha un famigliare in carcere o che è fuggito all’estero, o ha rilasciato interviste, deve aspettarsi blitz della polizia, che perquisisce l’appartamento alla ricerca di droga, armi o depositi di denaro. Trattano la gente comune come fossero membri di chissà quali bande criminali”. E a volte si registrano anche violenze fisiche.
Lo stesso può accadere anche ai dissidenti, come i “tre sabotatori dei treni” contro cui la polizia “ha sparato alle gambe per farli confessare”, come riferisce l’Associazione dei bielorussi in Italia Supolka. Hanno tutti meno di 30 anni. Si tratta di quegli impiegati delle ferrovie o comuni cittadini che, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, hanno iniziato a danneggiato binari, apparecchiature di segnalazione e quadri elettrici per bloccare le consegne di armi russe alle truppe, dato che il governo bielorusso consente a Mosca di usare la propria rete ferroviaria.
“I dissidenti agiscono consapevoli che rischiano anche la pena di morte: siamo rimasti l’ultimo paese europeo ad applicarla”, denuncia la studentessa. Subito dopo questi atti, il parlamento ha riformato la legge sull’anti-terrorismo per farvi rientrare anche il danneggiamento della rete ferroviaria.
Anche Lizaveta, che ha meno di 26 anni, ricorda che a partire dall’8 agosto 2020 – quando Lukashenko, al potere dal 1996, proclamò la vittoria ben prima dei risultati elettorali – ha partecipato ai cortei ma poi, come migliaia di altri dissidenti, ha dovuto lasciare il Paese per non subire arresti e condanne. L’ong Viasna aggiorna quotidianamente la lista dei detenuti ritenuti prigionieri di coscienza, e il dato odierno ammonta a 1.253 persone. “Come tanti vivo all’estero ma sappiamo che nessun posto è sicuro” denuncia. “Gli uomini del regime sono ovunque e potrebbero colpirci anche qui. Per questo continuiamo a lavorare con le istituzioni europee: restano la nostra ultima speranza”.