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Donne costrette a fuggire dalle loro case in cerca di sicurezza
Ad un anno dal ritiro delle truppe internazionali e dalla presa di potere da parte dei talebani l’Afghanistan non è più sotto i riflettori mediatici, ma il popolo afghano continua a vivere in condizioni di estremo bisogno.
La crisi si aggrava di giorno in giorno e colpisce in misura maggiore le donne e i bambini che rappresentano l’80% del totale degli sfollati interni. Essere una donna in Afghanistan vuol dire essere privata di ogni diritto e vivere nella paura costante.
In seguito alla crisi le disuguaglianze di genere sono sempre più accentuate con conseguenze terribili sulla vita di molte donne e ragazze: matrimoni forzati, violenze, restrizioni alla libertà di movimento e all’istruzione.
Un anno fa abbiamo assistito alle immagini dei tentativi disperati di fuga degli afghani. Un anno dopo qual è la situazione nel Paese? Cosa è cambiato nella vita di moltissime donne?
Prima della crisi dello scorso anno, la violenza contro le donne in Afghanistan era già un problema dilagante: nel 2015 circa il 51% delle donne aveva subito violenze fisiche o sessuali. Oggi si stima che questa cifra possa aver superato il 90%.
Da agosto 2021 alla maggior parte delle donne è stata negata la possibilità di avere un lavoro. Le limitazioni alla libertà di movimento hanno avuto un impatto negativo sull’accesso ai servizi sanitari.
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UNHCR, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sta sviluppando in Afghanistan 55 programmi per l’integrazione degli sfollati e delle sfollate all’interno delle comunità locali con l’obiettivo di costruire soluzioni durevoli.
Dall’inizio dell’anno più di 370.000 persone hanno beneficiato di centri sanitari, scuole, sistemi idrici e altre infrastrutture costruite da UNHCR, come le scuole per bambine a Jalalabad e Herat e un centro a Kabul in cui le donne possono acquisire nuove competenze e lavorare.
Non lasciamole sole
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