divide et impera! l’antico motto di Roma imperiale e la politica estera al tempo del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Le relazioni diplomatiche ad oggi degli USA con Cina e Russia – partner strategici, ma non alleati – secondo le dichiarazioni del 28 febbraio scorso, dal portavoce del Ministro degli Affari Esteri cinese, Wang Wenbin.
50 anni dopo Nixon, nel braccio di ferro degli USA con la Russia di Putin, il presidente Joe Biden allontanandosi dal motto latino del dividere ha, riavvicinato le più grandi autocrazie mondiali consentendo a Mosca di vendere a Pechino parte del gas e del petrolio non acquistato più dall’Europa….[..]
Cinquanta anni fa un presidente americano capì che per combattere le autocrazie dell’epoca, Repubblica Popolare Cinese e Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, bisognava cambiare spalla al fucile e mettere in atto l’antico motto di Roma imperiale: divide et impera!
Già nel 1967 Richard Nixon scriveva che era “del tutto impossibile lasciare la Cina fuori dalla comunità delle nazioni“.
Il riavvicinamento tra i due Paesi avvenne in maniera felpata e graduale. Dapprima, nell’estate del 1969, il governo di Washington decise, in modo autonomo, di eliminare alcune restrizioni commerciali a Pechino e nel 1971, la squadra americana di ping pong venne invitata a partecipare ad un importante torneo in Cina, dando così inizio alla cosiddetta “diplomazia del ping pong”. Il riavvicinamento ufficiale si formalizzò nell’ultima settimana di febbraio del 1972. Nixon si incontrò col presidente Mao Zedong ma, soprattutto, tenne molti incontri anche con Zhou Enlai, un grande diplomatico e primo ministro del governo cinese col quale firmò il famoso ed attuale comunicato di Shanghai, un documento di politica estera che pose le basi per le relazioni bilaterali cino-americane. Il comunicato includeva innanzitutto il riconoscimento del principio di una sola Cina, con il quale gli Stati Uniti per la prima volta riconoscevano l’unità della Cina comunista e di Taiwan, dove si era rifugiato il governo nazionalista, eliminando la frattura politico-diplomatica anche in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove ancora negli anni settanta sedeva la Cina nazionalista fuggita a Taiwan.
In cambio di questo principio, la Cina concedeva agli Stati Uniti il riconoscimento della loro supremazia nel Pacifico e si impegnava a contrastare l’eventuale tentativo di espansione dell’area di una terza potenza. Inoltre, il comunicato prevedeva la normalizzazione dei rapporti economico-commerciali tra i due Paesi. Gli americani accettarono di eliminare la “teoria delle due Cine“, riconoscendo l’indivisibilità del Paese e impegnandosi a ritirare tutte le forze militari di stanza sull’isola di Taiwan. In cambio i cinesi riconobbero, come si è già evidenziato, sostanzialmente, la supremazia statunitense nel Pacifico. Brutalmente e di fatto quest’ultima frase rappresentava un avvertimento esplicito all’Unione Sovietica. Da quel momento gli Stati Uniti si frapposero nel cuneo dei due grandi Paesi comunisti che, insieme a tante altre concause, si può dire oggi con certezza storica che contribuì ad avviare la fine dell’URSS.
Purtroppo 50 anni dopo nel braccio di ferro indiretto degli USA con la Russia di Putin il presidente Joe Biden non ha seguito l’antico motto latino del dividere ma ha, forse inconsapevolmente, riavvicinato le più grandi autocrazie mondiali consentendo a Mosca di vendere a Pechino parte del gas e del petrolio non acquistato più dall’Europa.
Il 28 febbraio scorso, il portavoce del Ministro degli Affari Esteri cinese, Wang Wenbin, dichiarò che “Cina e Russia sono partner strategici, ma non alleati”, per cui occorreva interrogarsi ed indagare sulla vera natura della rinascente amicizia tra Mosca e Pechino.
Nel frattempo si sono susseguiti accordi sul grano russo quasi eliminando le restrizioni pre esistenti e, come se non bastasse, Russia e Cina hanno firmato un contratto trentennale per la fornitura di gas naturale dall’Estremo Oriente russo al Nord-Est della Cina. Questa collaborazione rientra nell’ambito di una ben definita “cooperazione strategica” delineata in una dichiarazione congiunta delle due autocrazie, rilasciata lo scorso 4 febbraio, in cui faceva capolino la frase relativa ad un’amicizia “senza limiti“.
Va tenuto in buon conto, inoltre, che le loro economie sono totalmente complementari in quanto la Russia è ricchissima di materie prime e la Cina ha una grandissima industria manifatturiera. La forte ed inevitabile virata della Russia verso la Cina ha provocato effetti anche sul fronte finanziario e commerciale accelerando, di fatto, i piani di Pechino di aumentare la propria sfera di influenza economica e politica.
Secondo i dati della Banca Mondiale e dell’ONU sul commercio internazionale, per effetto delle sanzioni in vigore già dal 2014, la Cina è emersa ormai come la più grande destinazione per l’export russo. Già oggi più della metà del commercio sino-russo avviene in renminbi, quindi non sarà bloccato dalle sanzioni, e ci si dovrà aspettare che la Cina rinforzi il canale dei pagamenti nella sua moneta
In politica estera per la Cina è molto utile che la Russia rallenti o fermi il rafforzamento della NATO proprio partendo dall’Ucraina, che è un Paese importante nella produzione di energia elettrica dal nucleare, settore destinato a diventare il principale nella produzione energetica nel futuro.
Mentre oggi si pensa quasi soltanto al capitolo del gas russo, che potrebbe finire sempre di più a Oriente se le sanzioni dovessero coinvolgere l’export di gas verso l’Europa, in realtà l’energia nucleare è il vero obiettivo di medio-lungo termine.
Russia e Cina non vogliono che si ripeta in Ucraina quello che è avvenuto qualche tempo fa in Romania. Non va dimenticato che nel 2013 la Romania e la Cina avevano firmato 2 accordi di cooperazione dove la China General Nuclear si impegnava a costruire 2 nuovi reattori ad acqua pesante pressurizzata sul Danubio. Poi la Romania ha dovuto stracciare i contratti quando Trump ha sparato le sue critiche alla Cina ed ha lanciato un’offensiva diplomatica internazionale contro il gigante tecnologico Huawei.
Nel 2019 la Romania e gli USA hanno firmato un nuovo accordo che prevede la costruzione di due nuovi reattori nucleari civili. La sfida sistemica tra le democrazie liberali e le autocrazie dipenderà dalle rispettive forze economiche, militari e politiche e nell’evitare l’abbraccio molto pericoloso se non addirittura mortale se Washington non correggerà le sue linee guida ricordandosi dell’efficacia della strategia estera di Nixon.