Dopo l’Achille Lauro e lo scontro di Sigonella ci fu un altro episodio che non ebbe particolare impatto mediatico rispetto all’Achille Lauro, ma altrettanto virulento fu quello che avvenne con l’Operazione El Dorado Canyon il 15 aprile del 1986. Nel gennaio dello stesso anno, gli USA avevano rotto le relazioni diplomatiche con la Libia del colonnello Gheddafi e nel mese di marzo navi statunitensi contrattaccarono i libici dopo che questi avevano lanciato alcuni missili contro aerei della marina statunitense. La crisi crebbe di intensità allorchè il 2 aprile la Casa Bianca accusò la Libia dell’uccisione di quattro persone per una bomba esplosa sul volo TWA 840 da Los Angeles a Il Cairo via New York, Roma e Atene. Ma le cose si inasprirono ancor di più quando il 5 aprile un nuovo attacco terroristico fece tre vittime, tra cui un soldato americano, nella discoteca La Belle a Berlino Ovest. L’elenco dei colpiti raggiunse la cifra di 220 feriti tra cui ben 75 statunitensi. Gli Stati Uniti sostennero, come spesso hanno fatto, di avere prove schiaccianti sul coinvolgimento libico nell’attentato e lanciarono l’operazione “El Dorado Canyon” dove era anche prevista l’eliminazione di Gheddafi.
Diversi giorni prima Reagan si era impegnato in un pressing diplomatico con diversi alleati europei per l’appoggio all’operazione El Dorado Canyon e la logica conseguente richiesta ad avere l’autorizzazione a poter sorvolare i loro spazi aerei per colpire la Libia. L’Italia, la Francia, la Spagna e il Portogallo rifiutarono agli Stati Uniti sia il diritto al sorvolo dei loro territori e sia l’uso delle loro basi per portare a termine l’operazione e costrinsero, quindi, l’Air Force a compiere la propria missione aggirando Italia, Francia, Spagna e Portogallo e passando attraverso lo stretto di Gibilterra. Bettino Craxi, allertò con una telefonata il colonnello libico sulle intenzioni americane e Gheddafi con la sua famiglia lasciò il proprio complesso residenziale di Bāb al-ʿAzīzīyyaevitando, così, di essere ucciso. La conferma della telefonata di Craxi fu fatta sia da Andreotti, allora ministro degli Esteri di Craxi, e sia da Abdel Rahman Shalgham in quel tempo ambasciatore libico a Roma (tratto dal libro Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA). Bisogna qui anche ricordare che i 4 Paesi che risposero “non possumus” erano tutti a guisa socialista: Mario Soares, Felipe Gonzales, Francoise Mitterand e Bettino Craxi. All’epoca c’erano 2 super potenze URSS e USA oggi c’è la Cina che sta prendendo il posto che fu di Mosca. Su questa impostazione va apprezzato l’operazione di Macron nel suo recente viaggio a Pechino perché, in assenza di una politica estera UE, l’anticipa e detta la linea e, allo stesso tempo, pensa agli interessi di Parigi. Mentre da noi si fa a gara ad essere “più realisti del re” assecondando sempre e comunque Washington.
La frase è dello statista francese Adolphe Thiers il primo presidente della Terza Repubblica che coniando il motto essere più realisti del re voleva dire che chi: “difende un diritto o una teoria con più accanimento dei soggetti direttamente interessati” in estrema sintesi più americani degli stessi americani. Per cui se si paragona a quanto fecero i 4 leaders socialisti in confronto a quello fatto da Macron si può ben dire che è poca cosa anche se molto importante in questa fase storica.
La Cina ha in pratica acquistato la Russia, sostenendola economicamente comprando energia e materie prime russe a prezzi stracciati che, però, consentono a Putin di poter continuare la guerra. Pechino ha raggiunto, recentemente, intese anche con Brasile e Sudafrica, sta trattando con India ed Indonesia e, nelle ultime settimane, persino l’Arabia Saudita. Se a questi Paesi si aggiungono gli investimenti fatti in Africa negli ultimi 25 anni il risultato dà conferma che la Cina è il nuovo avversario globale degli Stati Uniti.
Macron è andato a Pechino con al seguito diversi dirigenti di grandi e piccole aziende nazionali, tra cui Electricite de France SA, la società di treni Alston SA, Veolia Environnement SA e Airbus SEche, en passant, ha piazzato ben 160 aerei e 50 elicotteri. Poi ha fatto le veci dell’UE in politica estera affermando: “L’autonomia strategica deve essere la battaglia dell’Europa. Il giorno in cui non si ha più libertà di scelta sull’energia, sulla difesa, sui social media e sull’intelligenza artificiale, perché non si hanno le infrastrutture adeguate, si esce dalla Storia”. Ribadendo dei concetti che tutti i nostri convinti europeisti non possono che fare propri in quanto l’autonomia strategica significa avere sì larghe convergenze con gli Stati Uniti, ma conservare una propria autonoma strategia consente di divenire interlocutori credibili, cioè non “diventare il vassallo degli Stati Uniti” ma un interlocutore autorevole e credibile che solo così potrà recitare un ruolo leale nella NATO, ma non subalterno per poter contribuire a costruire un equilibrio mondiale, una gestione condivisa delle sfide comuni.
Per chi non lo ricordasse anche Olaf Scholz, tedesco, e Pedro Sanchez, spagnolo, sono stati recentemente a Pechino accompagnati da a.d. ed imprenditori tedeschi e spagnoli al seguito. In conclusione Macron ha messo al centro del tavolo il grande problema: quale ruolo vuole avere l’Europa nel mondo?