“La Fortuna è l’arbitro delle metà delle cose umane. L’altra metà è data dalla Virtus”, scriveva Niccolò Machiavelli. Per centrare il bersaglio occorre coniugare pensiero (profondo) e azione. E restare sulla strada intrapresa, crederci e non mollare. Lo stratega ha passione per la storia che vive e sa pensare nel tempo lungo. Enrico Savio, in ‘Principi attivi di strategia’ (confezione da 12 pillole di varia dimensione e colore, edizioni Rubbettino, pp. 91, euro 13) traccia il percorso dello stratega, ovvero della persona che punta a un risultato e lo costruisce con pazienza e forza. L’autore – una vita al servizio della Pubblica Sicurezza e nella Sicurezza nazionale, oggi Capo Strategie e Market Intelligence di Leonardo Spa – pone al centro l’uomo e la sua capacità di costruire e vivere per qualcosa di grande. Queste parole non vengono da un roveto ardente (quelle parole non le ha nessuno) ma rappresentano un taccuino di viaggio. Una bussola che risulta utile al cercatore di senso, a chi vuole essere padrone del proprio tempo e destino. Nelle pagine di Savio, uno tra i pochi uomini in Italia ad avere davvero una vision, scorrono tracce che vanno seguite, anche perché nascono da una storia vera: si va dalla forza della volontà alla necessità della persistenza, dalla curiosità fino alla solitudine come compagna e alla legge –bergsoniana- del durare, del non lasciare la strada anche dopo la sconfitta, anzi imparando da essa.
“Nell’operazione militare vittoriosa prima ci si assicura la vittoria e poi si dà battaglia. Nell’operazione militare destinata alla sconfitta prima si dà battaglia e poi si cerca la vittoria”, scriveva Sun Tzu, in quel capolavoro che è L’arte della guerra. La strategia (dal greco strategos, generale) è segreto di azioni vincenti e rientra tra le principali discipline delle scienze sociali ma soprattutto significa avere – e nutrire – una Weltanschauung. In mezzo ci sono volontà ed emozioni, destino e solitudine, scelte e appartenenze, il pensare con la propria testa e il coraggio di andare fino in fondo.
“Dove c’è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà”, metteva in guardia Machiavelli. Per andare a dama è necessario riflettere molto, poi agire, perché – rimarca Savio – “la volontà non è un sentimento, è un esercizio rigoroso, una forza importante che ha bisogno, come l’acqua, di essere canalizzata in una direzione precisa, in una misura calcolata per poter essere produttiva”. Il colpo portato è il risultato di più fattori, ma tutto parte dal pensiero. Se “tutto è strategia per lo stratega”, l’ascolto e l’osservazione sono fondamentali, come è importante avere una congrua esperienza delle cose umane, che “fa strato” e contribuisce a scollinare difficoltà e a mettere a fuoco target, portando cuore e mente nelle azioni che fanno storia personale e comunitaria, soprattutto congedando la tentazione della delega e il mantra (negativo) del ‘si è sempre fatto così’, che blocca le azioni. Fino al primo utile innesco del cambiamento tutto è attesa e preparazione, poi la volontà – come la vita – presenta la scacchiera dove si gioca pe vincere. E la strategia migliore, alla fine del giorno, è una sola. Quella vincente. Niente rimane uguale dopo le maree, era la lezione del Nolano.
“Lo stratega riflette. Molto”. Immagina la sfida, la traccia dentro di sé, pesa le opzioni, fronteggia il vento delle opposizioni e la lotta con le interferenze. Tiene nelle vene un aforisma del Segretario fiorentino, che avverte: “è’ comune defetto degli uomini non fare conto, nella bonaccia, della tempesta”. E’ come la lavorazione del vetro soffiato: la pasta di silice si addensa, poi viene prelevata e attorcigliata, deve essere mozzata e poi diventa vetro spettacolare.
Lo stratega ha la pazienza dell’orefice e del contadino. Conosce e pratica la flessibilità, che lo porta anche a studiare storie di sconfitta per poter comprendere – a contrariis – il cosa non fare, insieme a quel non irrigidirsi che porta a indossare panni corti perché – direbbe Giordano Bruno – non bisogna mettere le mani in troppe acquasantiere né accendere candele ad altari sgarrupati. La flessibilità, invece, “è la forza della lama della Katana, la regina delle spade”, equilibrio tra durezza della lega metallica eduttilità della forgiatura, capacità di inculturarsi, di assumere vissuti e adattare pensiero e azioni alla circostanza. Soprattutto la flessibilità richiede la pratica di “un’umiltà profonda” anche nel riconoscere i propri limiti ed errori (questa è sempre la parte più difficile). E poi occorre “mantenere la mente aperta”, avere una “forza calma” che fa trans-gredire, andare oltre il current per puntare la luce sullo strategic, come anche persistere, avere la costanza che fa guardare avanti, dato che “la continuità è fondamentale”.
Ognuno getta i dadi e vince o perde da solo, con il proprio cuore e il peso della storia che sceglie di vivere. Una cosa è certa: “Il tempo degli Dei e delle Parche che tessono o sfilacciano i fili invisibili del destino degli umani è finito. Il tempo che viviamo intreccia fili assai più invisibili e immateriali in stringhe digitali la cui trama e ordito avvolgono ormai irrinunciabilmente la terra e tutto ciò che essa contiene”. Ecco che “la compagna naturale della persistenza” è ancora una volta l’umiltà: “il persistente nei fini è umile” e l’umiltà è forza (lo stratega non è dimesso o prono, è umile”.
“Lo spirito strategico è curioso”, per cui vale l’adagio no curiosityno vision, mixando acume e prudenza, ma soprattutto ricordando sempre che “l’umanità è il centro del mondo”, il “vero valore assoluto e trasversale che distingue il leader dal ‘capetto’. Si pensa che l’umanità sia un sentimento, anche nobile, con il quale condire le interazioni umane quotidiane. Non per lo stratega. L’umanità, quando esercitata nell’ambito della leadership è una visione strutturata dei rapporti umani, è la matrice primaria di prioritizzazione dell’azione strategica”. E’ fiducia costruttiva, guardando l’unico Nord: man in the middle. Si tratta di passare dall’io al noi, ma l’umanità va anzitutto conosciuta, perché senza conoscenza non può esservi seria strategia. E’ anche il “prevalere sicuro dell’andiamo rispetto all’andare”, l’ordine moralmente fondato prima che gerarchicamente imposto. Sono i galloni conquistati sul campo, non calati dall’alto. Le mani che sanno di terra e di forza, e la ragione che persegue il suo telos. Significa anche vigilare e lottare sempre, perché “esiste un confine tra l’Imprevedibile e l’Ineluttabile, un confine da vigilare continuamente affinché non accada a chiunque, anche per errore, di arrendersi prima del tempo o fuori tempo a causa della confusione tra l’uno e l’altro”. Lo stratega non si arrende mai e la variabile è la sua palestra, sfida e interfaccia allo stesso tempo. E’presenza, anche con il sole contro su un campo di battaglia. L’ultimo pilastro della conduzione strategica del leader è la solitudine, una compagna a volte sorridente, a volte irridente o arcigna.
Scrive Lucio Caracciolo nella Prefazione: “Ci permettiamo di suggerire all’Autore, per la ristampa, una postilla sotto forma di tredicesima pillola. Titolo: ‘Come sopravvivere in un paese a-strategico’. Giacché nessuna nazione si dovrebbe permettere il lusso, che pure noi distrattamente ci concediamo, di espungere la strategia dal dibattito pubblico”.
Come un maestro d’ascia, Savio disegna itinerari da approfondire e mette delle pietre miliari nel meccanismo dei seguiti.
Nella topologia dello stratega non c’è il sangue della Medusa, le lettere diaboliche del crittologo Agostino Amadi o la lingua Sabir, parlata in tutti i porti. C’è la volontà e la l’umiltà, l’umanità e la costanza, insieme alla ‘metis’, l’intelligenza pratica e alla logica. Doppiato lo scoglio, il mare aperto si solca con la bussola dell’esperienza che è sempre capace di meraviglia e pensieri profondi, tenendo tuttavia presente il racconto di Balzac sul soldato e la pantera.
“Pillole” utili, che fanno strada. Come le uova del drago, che impiegano tanto tempo per schiudersi ma poi danno vita a un’altra generazione di storie straordinarie. Ne vale la pena.