Il senso della vita e della poesia nel quotidiano, nelle parole evocatrici che si staccano dal tempo, raggiungendo una fissità immanente e allo stesso tempo fluida, che travalica i confini geo temporali di un’epoca, di una storia e di un vissuto. Raccontare la vita attraverso i versi è stata la costante, il fil rouge che ha accompagnato l’esistenza di Luciana Frezza: si laurea infatti in Lettere con una tesi su Eugenio Montale, discussa con Giuseppe Ungaretti. E’ stata anche traduttrice dei poeti simbolisti francesi, Laforgue, Mallarmè, Verlaine, Baudelaire con i quali ancora oggi sembra dialogare attraverso i suoi versi.
A trent’anni dalla morte, Graphe edizioni. It propone l’ultima opera pubblicata in vita dall’autrice, “Parabola Sub” con una prefazione di Walter Pedullà. In un tempo in cui la poesia sembra essere un genere in declino ripubblicare le opere di un poeta significa creare la premessa affinchè possa avvenire l’incontro con il lettore. Uno “scrigno” di parole che sono li, da molto tempo ad attenderlo. La silloge poetica della Frezza non a caso inaugura la collana le “Mancuspie”, diretta da Antonio Bux.
“Parabola sub” rappresenta l’espressione artistica più matura di Luciana Frezza, dove i versi si caricano di un’energia ritmica, che come un mantra torna alle radici, ai miti, alla storia, ribaltandoli in una prospettiva nuova, quella dei sogni capovolti, della visione della vita da un’angolatura diversa, insolita. Che torna alla liquidità primordiale che tutto avvolge in una ciclicità instancabile ed eterna. Il destino è inevitabile, non possiamo sottrarci alle sue regole spietate: “Il libro è un tuffo”spiega la stessa autrice-“Significa andare a picco perché è andata male ma nello stesso tempo si approfitta di questo andare a picco per saperne di più. Non c’è un capovolgimento del mondo, ma di un capolgimento della visione, come quando si guarda sott’acqua. Scendendo giù si puo’ vedere se stessi come chi ha pensato e sognato tutto.”
Il rimedio al “male di vivere” si estrinseca nei versi della Frezza attraverso l’uso del ritmo e della parola che si fa densa, allusiva, sibillina. Nellasilloge poetica emerge nei primi 3 componimenti un femminismo che si manifesta attraverso il capovolgimento dei miti, come in Orfeo e Euridice, dove è Euridice e non Orfeo, come sottolineato da Pedullà a “simboleggiare la poesia” . Il sogno sarebbe stato preferibile all’azione che ha condannato per sempre Euridice.
Se fossi caduto dal sonno
là fuori sull’erba
nel solco del serpente
mi avresti visto Orfeo
varcato senza peso
il divieto dei Luoghi
sorriso senza voltarti
raggiunto in un lampo
nel sogno unico
della vicinanza
vivo due volte
te lo dice una
due volte morta
E’ il rimprovero sottile che Euridice muove ad Orfeo velato da una leggera ironia: L’azione di Orfeo la condanna beffardamente ad una nuova morte, uccidendo l’ultima vana illusione alla quale si era aggrappata, seguendolo per riaffiorare alla vita nel percorso a ritroso della cavità dell’ade, che un solo sguardo, spezzerà per sempre, uccidendola due volte.
Luciana Frezza si spoglia dell’io, pur rimanendo ancorata ad un vissuto e ad una realta’ oggettiva, fatta di luoghi, oggetti,pezzi di ricordi che rimescola come in una visione onirica.Il tempo perde la sua ciclicità e si cristallizza nello scorrere di una clessidra, o nel desiderio di un viaggio mai compiuto:
ma l’orario inchiodato
forza il tempo al volante
appuntamento di una sul ciglio bruciato
una che non se ne va (Bus,
v. 9-14, 1985)
O in “Viaggiatore”, dedicata ad Andrea Greco alias il marito Agostino Lombardo, anglista e traduttore dell’opera Shakespeariana:
I viaggi mai fatti preservano
la salute dei desideri
puo’ essere felice
il tarocco capovolto del restare.