Messina, 17 ottobre 2023 – Il romanzo di Nicolò Riggio “L’Ora D’Aria Del Ritardatario” (Lubrina Bramani Editore, Bergamo 2021 pg 266) è caratterizzato da un linguaggio misto, ben calibrato tra il letterario ed il vernacolare, ricco di espressioni tipiche della zona ionica messinese. La cittadina dove si svolge la vicenda ha come nome di fantasia Marina Ionica ma, in realtà, si tratta di Santa Teresa di Riva, il paese nativo dove Riggio ha vissuto fino alla laurea e dove tornava periodicamente. Mare e terra fusi in uno scenario conturbante per bellezza e fascino, a cui la scrittura elegante, raffinata e “saputa”dell’autore rende merito. Il lettore è attratto sia dall’intensa trama del romanzo, sia dalla scrittura in cui la parlata dialettale fa capolino, intersecandosi con il linguaggio nazionale accurato e colto che Nicolò Riggio, docente di chiara fama, ha saputo sapientemente utilizzare.
Il lettore esperto è affascinato dai luoghi che fanno da scenario alla vicenda e, nel contempo, tende ad insinuarsi nella storia, prendendone parte. Amaramente si rende conto che il paesaggio lussureggiante, spesso, stride con la necessità di sopravvivenza. Egli intreccia la storia con l’attualità, presta la sua anima ai personaggi che vivono e si muovono nel suo riflesso, seppur sdoppiati in tanti ruoli.
Chi scrive non può esimersi dal ricordare quanto il professore fosse stimato dai colleghi ed apprezzato dagli alunni. Quando mi è stato proposto di scrivere una recensione del libro, ho capito che Nicolò, dall’alto, sorvegliava ogni cosa e che avrebbe apprezzato che io diffondessi ,nei miei limiti, il suo intenso e profondo romanzo.
Riggio è un narratore acuto e profondo, non si sofferma solo sulla realtà ma percorre luoghi interiori che riguardano l’intera umanità. E’ l’anno 1939, l’Italia è in guerra in mano ai fascisti e sono in vigore le terribili e vergognose leggi razziali. Il protagonista è il duca Albano Salemi Salimbeni, personaggio eclettico,originale e colto che fa la spola tra la Sicilia, terra a cui è strettamente legato, ed il resto d’Italia. Da ciò, il titolo del romanzo; il ritorno nell’isola per don Albano, vuol dire respirare l’aria di casa propria, godere di una libertà che la dittatura fascista e le condizioni economiche dissestate non consentono.
Taormina è uno tra i luoghi più attraversati dal romanzo: essa viene presentata al lettore come città dal duplice volto, cosmopolita ma anche un po’ eterogenea, proprio per la sua netta inclinazione turistica.
La trama del libro ha uno sviluppo organico e lineare e la scrittura elegante, talvolta barocca ed intensa, lo impreziosisce. Il duca scende in Sicilia da Roma, per aiutare la nipote Leonora, mediante documenti falsi, a rientrare nella capitale; compare a questo punto anche un grande falsario in grado di agevolare la faccenda. Il romanzo quindi ben saldo nella scrittura, presenta degli slarghi interessantissimi, quasi note che aiutano il lettore a non perdersi nel divagante ondeggiare della trama.
Lo scrittore è talvolta enigmatico ma il lettore attento sa comprenderne la ragione: è una sfida alla sua intelligenza, è un percorso ombroso, illuminato solo a sprazzi. Sfida di un grandissimo intellettuale a chi sa coglierla. Alcuni episodi sono molto intensi e nascondono all’apparenza la loro forte valenza ma il lettore segugio non si arrende. La storia di Feliciotto, il sarto che arde all’aperto un pupazzo di pezza che raffigura Mussolini e che viene torturato e condannato a due anni di confino a Lipari, è emblematica dei tempi. La risposta arriva subito: Beniamino,il figlio, castrerà Vittorio Bartolone, segretario del fascio. Una piacevole divagazione risulta l’arrivo di Letizia Calzavara donna di gran classe e cugina del duca.
Molto intensa ed interessante anche la parte finale del romanzo: il fascismo comincia a piegarsi su se stesso, tuttavia i morti costellano le strade, le urla dei torturati sfondano i timpani, le fortezze volanti mietono vittime ma ecco che appare la colomba della pace eterea ma luminosa. Il duca disamina molti elementi fondamentali del testo, sotto forma di metafora, per ribadirne il rilievo. Degno di nota tra tanti il riferimento al paloggiu (la trottola), metafora del cuore umano, di fronte agli accadimenti della storia, alla brama di potere , alla follia omicida e soprattutto alle responsabilità etiche di ciascun individuo. La “scrittura” di Nicolò Riggio alta, lirica e divagante si accosta alla narrativa di “raffinati scrittori” siciliani del secondo Novecento: Stefano D’Arrigo, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino.
Biografia di Nicolò Riggio
Nicolò Riggio (Santa Teresa di Riva 04.07.1949 – Bergamo 08.10.2018) frequenta il Liceo Classico Statale di Santa Teresa di Riva e si laurea in lettere all’Università di Messina nel 1975, con una tesi su “La narrativa di Brignetti tra andamento lirico e impegno umano”. Nel 1977 va ad insegnare al Nord e si stabilisce definitivamente in Lombardia. Ha insegnato per molti anni presso il Liceo Artistico Statale di Bergamo. Docente e intellettuale, ha trasmesso ai suoi alunni l’amore per la grande letteratura italiana e in particolare per Dante. Da anni si dedicava alla scrittura di questa romanzo, pubblicato postumo, con la prefazione di Giuseppe Traina.